nostro inviato a Bergamo
Il premier chiede a Confindustria di «fare qualcosa di più per noi»? Emma Marcegaglia, reduce da una lunga e difficile assemblea degli industriali svoltasi a porte chiuse, risponde senza giri di parole: «Noi facciamo già abbastanza, tutti i giorni. Contribuiamo per il 70 per cento al Pil, siamo la quinta potenza industriale del mondo e il secondo esportatore dEuropa. Semmai è il governo che deve fare di più: più semplificazione, più liberalizzazioni, più riforme, meno tasse».
Giudizio netto. Che la Marcegaglia appesantisce con altre considerazioni, tutte passate al vaglio dellassemblea: «Dobbiamo constatare che lagenda degli imprenditori è diversa da quella della politica. Aspettiamo da anni le grandi riforme che permettano allo Stato di ridursi, funzionare meglio e dare più libertà alle imprese. Sono poche le cose che chiediamo: non incentivi, sussidi, aiuti, ma meno tasse per le imprese, fondi per la ricerca, liberalizzazioni, semplificazioni a costo zero per il bilancio pubblico ma che aiuterebbero molto leconomia. Invece il governo fa poco per la crescita. Nei momenti più acuti della crisi abbiamo apprezzato la tenuta dei conti e contribuito a mantenere la coesione sociale. Questo però è il momento di tornare a crescere, non solo di tenere in equilibrio il bilancio. E il governo ha fatto il contrario, per esempio con le tariffe minime per professionisti e trasportatori. Su questo il nostro giudizio è negativo».
Alla ghigliottina di Emma Marcegaglia, che parla in conferenza stampa al termine delle Assise confindustriali di Bergamo, non sfugge nemmeno il «decreto sviluppo» dellaltro giorno su cui il governo fonda le prospettive di ripresa e che pure offre ampi spazi agli imprenditori. «Approviamo gli incentivi ai lavori edilizi e la rimozione degli ostacoli per nuove infrastrutture. Tuttavia mancano totalmente le liberalizzazioni. Sulla ricerca, condividiamo il principio ma non lo strumento scelto: non sappiamo quanti soldi sono disponibili attraverso il credito dimposta. E siamo contrari al credito dimposta per le assunzioni al Sud: è una manovra elettoralistica. Sullaccesso al lavoro non vogliamo intermediazioni della politica».
La distanza dal premier-imprenditore è profonda. Confindustria accompagna questa svolta con una serie di riforme interne: accorpamento di servizi per ridurre le spese, meno convegni e liturgie lobbistiche, aiuto alla crescita dimensionale delle imprese perché «oggi piccolo non è più bello». Sulle relazioni industriali, Marcegaglia conferma le critiche al sindacato e in particolare alla Fiom: «La via giudiziaria alle relazioni industriali è inaccettabile». Avanti sulla strada aperta dagli accordi del 2009: «Possiamo avere contratti nazionali più avanzati, deroghe, addirittura aziende che decidono di avere un contratto aziendale al posto di quello nazionale».
Confindustria si candida anche a rilevare lIstituto per il commercio estero, quello che dovrebbe aiutare le realtà produttive a esportare mentre «con i soldi che riceve si limita a stipendiare i propri funzionari, per la maggior parte impiegati in Italia». Lo Stato deve privatizzare lIce, propone Marcegaglia, e gli industriali si offrono a rilevarne la gestione. È lunico esempio avanzato dal presidente degli imprenditori per documentare il «maggiore impegno» che lassociazione è disposta a mettere in campo. Marcegaglia batte sul tasto Ice: se le piccole imprese non hanno futuro, se la competizione si sposta dal mercato interno a quello globale, una buona promozione allestero è indispensabile. E oggi lIce non la fa.
In più ci si mettono i giudici: «La condanna alla Thyssen è unica in Europa. I morti sul lavoro sono tragedie enormi. Ma se la sentenza di Torino dovesse fare scuola potrebbe allontanare gli investimenti esteri e mettere a repentaglio il nostro sistema industriale». Ma Berlusconi resta lobiettivo numero uno.
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