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Marcelo, un operaio della panchina che dà il meglio quando «guida» una Ferrari

Entrare a far parte di uno star-system pur non essendo una figura privilegiata. Questo il destino di Marcelo Bielsa (nel tondo), 56enne allenatore cileno chiamato da Moratti a perpetuare la speranza di risurrezione dopo una stagione tra poche luci e tante ombre. Fino a pochi giorni fa l'ipotesi di "El Loco" al timone di una squadra italiana sarebbe stata concepita come una bufala. E invece Bielsa non solo ha già in tasca un biglietto aereo con destinazione Malpensa, ma si appresta a guidare l'Inter, non certo una squadra dell'oratorio. Moratti non ha esitato un solo istante: ha puntato sull'unico allenatore sulla piazza che sembra costruito nello stesso laboratorio genetico di Mourinho. Un surrogato dello Special One che si è imposto in virtù di una spiccata personalità mista alla capacità di caricare a molla i giocatori. Bielsa non conosce le mezze misure, litiga con i giornalisti, denigra i colleghi (una volta prese di mira anche Lippi), è abituato ad attirare su di sé l'attenzione per allontanare stress e pressioni dai giocatori.
Una domanda critica è comunque pertinente: che cosa ha mai vinto di così importante questo argentino originario di Rosario per meritarsi l'Inter? La risposta mette i brividi: poco o nulla. Ha fallito in Messico e Spagna. Se si esclude la parentesi trionfale al Newell's Old Boys il suo nome non figura negli almanacchi. Un karma di chi ha sempre lavorato in condizioni d'emergenza con diligenti operai specializzati del pallone. Quando però ha avuto le chiavi di una Ferrari la polvere l'ha riservata ad altri. È accaduto alle Olimpiadi del 2004. Medaglia d'Oro ad Atene con la nazionale dei Tevez e dei Mascherano. Una Albiceleste che non era mai salita sul podio. Nella precarietà Bielsa ci sguazza e raccatta applausi a scena aperta. In Cile, patria d'adozione, ha plasmato la sua miglior opera d'arte. Con una Roja spauracchio di nessuno ha sfiorato in Sudafrica i quarti di finale. Un risultato che dalle parti di Santiago ha finito per creare la leggenda di "San Marcelino", considerato dai giornali locali l'uomo più influente del paese. Neppure Pinochet ebbe simili riconoscimenti nonostante il sostegno sfacciato di una stampa ammansita dalla minaccia delle torture. A febbraio ha passato il testimone all'ex milanista Claudio Borghi dopo una furibonda litigata col presidente della federcalcio Sergio Jadue. Voleva imporgli i giocatori da convocare, e "Marcelino" l'ha mandato a stendere in pubblico. Un uomo paffuto, ma dallo spirito belluino. Retaggio dei trascorsi agonistici da difensore con piedi poco avvezzi alla tecnica. Non conosce la diplomazia nonostante suo fratello Rafael sia stato ministro degli Esteri durante la presidenza di Nestor Kirchner, e sua sorella, Maria Eugenia, governatrice della Provincia di Santa Fè. Lui li considera «mosche bianche. Non resisterei un solo giorno a svolgere un lavoro del genere. Per me o è bianco o è nero. Non so fingere o scendere a compromessi».


In nerazzurro si vocifera voglia portare due suoi fedelissimi: uno è il corteggiatissimo, da tutti, Alexis Sanchez, per cui sarà un’impresa; l’altro il 24enne Gary Medel, maratoneta di centrocampo in forza al Siviglia. Un combattente che a volte eccede nell'agonismo. Una scelta coerente per ricevere senza traumi il pesante fardello dell'eredità Mourinho.

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