Risale al lontano 1939 il viaggio di Gianni Agnelli negli Stati Uniti, tra Philadelphia, Detroit, Chicago, New Mexico e California. Quel tour in lungo e in largo negli States gli permise di conoscere da vicino il fenomeno del «fordismo», il modo più razionale, cioè, di organizzare a quei tempi la catena di montaggio in una fabbrica di automobili. A distanza di 71 anni da quel viaggio, un premio per il futuro Avvocato da parte del nonno dopo il superamento dell’esame di maturità, il mondo è ovviamente cambiato. Ma nessuno, probabilmente, si aspettava che nel 2010 a dettare legge negli Stati Uniti fosse il metodo Fiat, quello adottato da Sergio Marchionne, l’uomo che Barack Obama ha pubblicamente ringraziato, l’altro giorno a Detroit, per aver salvato la Chrysler. E se il nonno Gianni, visitando nel ’ 39 gli stabilimenti di Henry Ford, fece tesoro di quell’esperienza, il nipote John, che nei giorni scorsi ha passato in rassegna le linee di assemblaggio della Chrysler, ha avuto la soddisfazione di vedere come il «fiatismo» fosse stati digerito a tempo di record dagli operai dello stabilimento americano. Dal«fordismo»al«fiatismo»,dunque, con gli elogi di Obama: chi l’avrebbe mai detto. In tutto questo, però, c’è una nota stonata. E riguarda l’artefice del successo d’immagine che il gruppo Fiat sta riscontrando al di là dell’Atlantico. È come se esistessero due Marchionne: quello «buono», che lavora nel suo ufficio sulla Chrysler Drive, ad Auburn Hills; e quello «cattivo», rinchiuso (quando c’è) nello studio al quarto piano della palazzina del Lingotto,a Torino,a studiare il modo migliore per smobilitare dall’Italia. Una sorta di dottor Jekill (quello americano, nel ruolo di ceo della Chrysler, applaudito dai suoi operai ogni qual volta si affaccia in una fabbrica del gruppo Usa) e mister Hyde (il Marchionne versione italiana, messo in croce da Cgil, Fiom, Cobas, Idv e Pd per aver osato puntare sul proprio Paese e scommettere 20 miliardi di euro, cioè quasi 40mila miliardi delle vecchie lire, sul rilancio del sistema industriale della penisola). Basta scorrere le pagine dei giornali per accorgersi di questa doppia considerazione per il top manager dal pullover nero. La Repubblica di ieri, per esempio, riportava al centro della prima pagina il seguente titolo: «Obama alla Chrysler: “Grazie Marchionne” ». Qualche giorno prima, all’interno, di taglio e in bella evidenza, riferendosi al via libera alla newco per Pomigliano: «Lo sconcerto dei lavoratori: “Così rimaniamo senza garanzie”».Da notare che la newco è stata fatta partire dalla Fiat per poter rilanciaree non chiudere la grande fabbrica alle porte di Napoli. Rocco Palombella, leader della Uilm, ha ragione quando afferma che in Italia «c’è qualcuno che tratta Marchionne alla pari di un delinquente ». Forse Maurizio Landini, il capo della Fiom, farebbe bene a riporre sul tavolo megafono e bandiera rossa, e riflettere sulle parole pronunciate dal suo collega americano del Uaw, il sindacato dei metalmeccanici. Nel commentare le scelte fatte da Marchionne, Bob King parla di «traguardi raggiunti anche a fronte di sacrifici e sforzi del sindacato per sostenere la produttività».
Forse la giustificazione delle linee di pensiero e comportamento diverse, in Italia e negli Stati Uniti, con la creazione dunque di due Marchionne, quello «buono» e quello «cattivo», è spiegabile con il fatto che gli operai americani hanno veramente visto il mondo crollare loro addosso (la fine della Chrysler o della Gm li avrebbe messi sulla strada). In Italia, invece, il salvagente pubblico è sempre pronto. Marchionne è attaccato perché vuole produrrre 280mila Panda a Pomigliano e creare i presupposti perché l’Italia dell’auto non retroceda in serie B.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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