La marcia d’argento di Alex lancia l’Italia dell’atletica

Tre piatti di pasta per dirsi bravo. O darsi uno schiaffo. Alex Schwazer ha festeggiato così quella medaglia che gli ha lasciato un certo languorino. Si, l’idea di una festa non perfettamente riuscita. C’erano tutti quelli di casa e Barcellona era una bellissima città per festeggiare con Carolina e la famiglia. Mamma Maria Luise non si era mai mossa dal paese. Stavolta ci ha provato. Carolina Kostner ha deciso di fare uno strappo ai suoi ferrei allenamenti che, a settembre, la riporteranno sul ghiaccio. In cambio ne ha ricevuto un bacio ed un mazzo di fiori.
Alex cuor di leone sperava di regalare qualcosa di più. Voleva un oro, è arrivato un argento. E uno schiaffo da un ventenne ragazzino russo. Stanislav Emelyanov marciava con faccia di bronzo, impenetrabile e insondabile, ne è uscito con una medaglia d’oro. «Collabori?» gli chiedeva Schwazer, mentre rullavano solitari sulla strada. E quell’altro guardava avanti. E non ha smesso mai, nemmeno quando Alex si è staccato. Dopo circa 8 km di corsa, un po’ troppo presto. Il russo ascoltava il respiro degli avversari per capire, finché non li ha sentiti più. Sembrava un veterano, eppure è un ragazzino che ha vinto tutto a livello allievi e juniores, ma si giocava il primo campionato d’Europa. Il solito russo, sottolinea chi conosce il mondo della marcia. Difficile scrollarseli di dosso ed anche dal medagliere(salvo porcherie da propellente fasullo). Non c’era Borchin, il favorito. E allora il pronostico toccava ad Alex: a marzo aveva realizzato il miglior tempo stagionale sulla 20 km, che poi non è la sua gara. Stavolta poteva esserlo.
«Soddisfatto? Ni». La prima risposta è quella che vale. Schwazer lo ha detto cinque minuti dopo aver chiuso questa 20 chilometri sudata sul Paseo di Picasso, aggrovigliata intorno alla cittadella, con una umidità del 66 per cento e 23 gradi alle otto del mattino: tutt’altro che una passeggiata a ritmo di tacco e punta. Lo hanno capito gli altri due azzurri. Ivano Brugnetti, saltato dopo 45 minuti, con le solite scuse: «Mi sentivo vuoto», e Giorgio Rubino finito quinto, arrancando con la forza del coraggio e della volontà.
Come tutti i campioni, Alex ha l’istinto di chi non s’accontenta. Gli capitò ai mondiali di Osaka nel 2007: acchiappò il bronzo e sbattè a terra il cappellino. Sembrava di rivedere l’isterismo desolato di Valentina Vezzali, dopo una finale chiusa con l’argento, o il muso lungo, al limite della frignata, di Federica Pellegrini ai Giochi di Atene quando capì di aver sfiorato un oro.
Ecco, perché quel «ni» di primo acchito, poi rivalutato da uno zuccheroso «l’argento va bene», è stato un bel segnale. Il campione c’è ancora. Il ragazzo che, a Pechino, salutava imitando braccio di ferro non si è perduto dietro le angosce di una sconfitta che pareva una bastonata: l’anno scorso affondò miseramente sulle strade di Berlino a caccia di un oro mondiale nella 50 km, la distanza in cui è campione olimpico. Difficile dimenticarlo, per lui e per gli altri. Disse: mal di stomaco. Ma doveva essere anche mal di testa, qualcosa di psicologico. Ieri è partito per vincere e stravincere. Poi è stato costretto alla difesa, ma ha fatto raccolto staccando nel finale il portoghese Vieira. Buon per l’azzurro stinto di questi tempi grami. L’Italia non vinceva una medaglia europea nella marcia dal 1994 con Perricelli nella 50 km. E, prima di lui, bisogna ritornare a Maurizio Damilano che, nel 1986, si prese un argento nella 20 km. Se poi parliamo d’oro, serve risalire fino al mitico Abdon Pamich ,che lo conquistò nel 1966, ma nella 50 km.
Schwazer potrebbe completare la festa. Ci ha pensato in gara.

«Quando ho capito che il russo mi aveva staccato, ho cercato di risparmiare forze. Che differenza fa arrivare secondo con 5 o 20 secondi di ritardo? Nessuna. Meglio pensare alla 50 km». Si, avrà un poco d’amaro in bocca, ma l’oro del campione non s’è perso.

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