«Marco, insegna agli angeli a impennare»

«Marco, insegna agli angeli a impennare»

Il dolore, come la gioia, è una questione di abbracci. L’abbraccio del motomondo a Marco Simoncelli che non c’è più, ma che ora «vive di più» ha detto il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, durante l’omelia. L’abbraccio di quest’Italia confusa su molte cose ma con le idee chiare quando c’è di mezzo la faccia buona di un ragazzo per bene e il dolore composto di una famiglia da corsa. Coriano stesso non è più solo un paese, ma un immenso abbraccio poco distante dal mare di Romagna. Un abbraccio che si muove portato in spalla dalle migliaia di persone che hanno invaso le vie. Gente di moto soprattutto, lo si capisce dai corpi minuti, corpi di jeans e giubbotti di pelle e capelli spettinati dai caschi. È un popolo minuto e zingaro che ama le corse e ha in viso le rughe innaturali di chi lotta con le lacrime o si è appena arreso, un popolo a cui serve poco per comprendere qualcosa di magico: che a Coriano, terra del Sic, si può piangere per il dolore, ma va subito lasciato spazio a un sorriso. E per chi non ci riesce, per chi resta col buio doloroso in viso, in chiesa, in prima fila, ci sono mamma Rossella e papà Paolo e la giovane Martina a ricordare che no, a Coriano, nella terra del Sic, si deve anche sorridere.
L’abbraccio è nascosto nelle parole del vescovo, «ora sei sul podio più alto che ci sia... passatemi un pennarello che firmo anche io lo striscione “Marco, insegna agli angeli ad impennare”... ». Il vescovo che si domanda e spiega «Dov’era Dio in quel momento fatale? Era lì, pronto per impedire che cadesse nel baratro del niente e dargli un passaggio in Cielo... era lì per dire a Marco “Grazie, per tutte le volte che mi hai abbracciato nei fratellini disabili della piccola famiglia di Monte Tauro”...». Parole profonde a cui seguiranno quelle semplici della fidanzata di Marco, Kate, «le persone troppo perfette non possono vivere con noi comuni mortali». Parole che accarezzano questa famiglia allargata dalla presenza, vicino in chiesa, di Valentino Rossi più vecchio di dieci anni. Valentino che accenderà per qualche attimo la Honda di Marco e la spingerà fuori accompagnando la bara di Marco; Valentino che starà in disparte sul sagrato fin quando papà Paolo gli farà segno e insisterà perché si avvicini alla tribù triste di quelli del Sic, uomini minuti e bimbi del suo motoclub, seduti per terra in cerchio attorno alla bara posta sul sagrato. Una tribù davanti a mamma Rossella in piedi che guarda il marito chiamare la figlia, Martina, per farla sedere accanto a lui e stringerla così forte che sì, sta proprio abbracciando lei e Marco assieme.
L’abbraccio arriva con Vasco Rossi che non c’è ma c’è nelle note della canzone preferita del Sic, «Siamo solo noi», note e parole che accolgono il feretro e la famiglia e Valentino e Agostini e Capirossi e molti, tanti del motomondo e non solo, come Alberto Tomba. Arriverà anche un messaggio del Capo dello Stato Napolitano. E c’è l’abbraccio imbarazzato di Lorenzo, il campione del mondo, che attaccò Marco giudicandolo troppo pericoloso in pista, Lorenzo che si avvicina a papà Paolo e gli stringe la mano, non osa far di più, e papà Paolo che no, a Coriano, nella terra del Sic, si deve sorridere, e allora lo tira a sé e lo abbraccia forte. E Jorge sorride. Jorge che un attimo prima, nel libro delle partecipazioni all’entrata della chiesa, aveva scritto «Marco ti ricorderò per sempre, perdonami per aver discusso con te». E c’è l’abbraccio di Andrea Dovizioso, campione mite e da sempre, fin dalle sfide nei motoclub romagnoli, rivale e nemico giurato in pista di Marco. Andrea che piange, Andrea che dice «ero persino invidioso della sua solarità, spero che mi aiuti a trasformare in forza quel che ho dentro... perché con ciò che provo non potrei tornare a correre». Andrea che sul libro delle partecipazioni aveva scritto: «Marco, mi hai sempre spronato ad andare più forte».

Andrea davanti a papà Paolo che sa bene di quella rivalità forte e dura e lo guarda teneramente e lo tira a sé e lo stringe più di tutti e a lungo. Perché abbracciare Andrea, il rivale di una vita, vuol dire abbracciare la vita di corsa del suo Marco.

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