Taranto La testimone chiave dell’inchiesta è una ragazza di vent’anni che ormai da un mese se sta barricata in casa, un appartamento al primo piano di via Pellico, periferia di Avetrana. Lei si chiama Mariangela Spagnoletti, sguardo vispo e capelli castani in parte raccolti in un coda che le scendono sulle spalle, operaia in un’azienda che produce biancheria intima, ormai «ex» amica di Sabrina conosciuta in un negozio di estetista. Il lavoro, la famiglia, i fratelli, qualche uscita con gli amici: una ragazza come tante, Mariangela. Ma adesso la sua vita è cambiata, ora preferisce non farsi vedere per le strade di questo piccolo centro di neanche novemila abitanti dove si rincorrono ipotesi e dubbi. E mentre la gente si riversa in quei seicento metri che separano villa Misseri da casa Scazzi, Mariangela rimane dentro, giusto qualche volta si affaccia al balcone. Perché proprio le sue parole hanno consentito di far crollare il castello di bugie che oscurava la fine di Sara. I suoi dubbi, le sue perplessità, il suo racconto su quel silenzioso e assolato pomeriggio che s’è portato via il destino della quindicenne: tutto questo è finito negli atti di un’indagine che presenta ancora diversi lati oscuri ma si poggia su alcuni punti fermi. A cominciare dalle parole di Mariangela, che inchiodano Sabrina.
Nnell’interrogatorio del 15 ottobre dinanzi al sostituto procuratore Mariano Buccoliero Mariangela dice tutto: mette a fuoco quei momenti, riferisce le sensazioni di quella giornata infinita, descrive anche quel che è successo dopo, i messaggi, i contrasti affiorati da messaggini telefonici, la rottura definitiva con l’amica. «Cioè la cosa che era strana era che lei si era sbrigata prima...», dichiara la ragazza al pm riferendosi proprio a Sabrina, che il 26 agosto non era sulla veranda ma l’attendeva già per strada: dovevano andare al mare, ma di solito lei aspettava in casa. Le perplessità cominciano da qui, le certezze iniziano a vacillare. «Lei era fuori», ripete Mariangela al magistrato. É questo il punto di partenza di un racconto che aggiunge tasselli importanti in un mosaico investigativo che comincia ad apparire chiaro proprio dalle parole di questa operaia di vent’anni, che adesso vive da reclusa e ha già perso otto chili.
Nel corso dell’interrogatorio vengono ricostruiti quegli istanti: Mariangela con la sorellina che va a villa Misseri per andare poi al mare, Sabrina che è per strada e le dice subito «l’hanno presa, l’hanno presa», loro che si dirigono verso casa della madre della quindicenne. Eppure Concetta era calma, tutt’altra cosa rispetto alla nipote. «Non mi sono accorta di un’agitazione proprio come quella là che aveva Sabrina», spiega Mariangela. Che domanda all’amica: «Ma perché...? É ancora presto». Del resto era trascorsi solo dieci minuti. «Stai tranquilla, mò vediamo, la troviamo», le dice Mariangela; ma l’altra risponde: «No, no. L’hanno presa».
I dubbi della ventenne sono anche i dubbi degli inquirenti: non è chiaro perché Sabrina attendesse fuori, non può trovare giustificazione quel panico di fronte a un semplice ritardo. E poi le versioni contrastano, le perplessità diventano sospetti. E la conclusione è che Sabrina ha mentito. Mariangela non mostra tentennamenti, la sua voce è ferma e racconta: «Non che stavo agitata, lei mi ha fatto venire l’ansia, ha detto: dai! Mena, veloce, che la andiamo a prendere. Muoviti! proprio con un tono abbastanza...». Ma non è tutto. Perché in un altro interrogatorio, la testimone riferisce che Sabrina la chiamò ad appena 48 ore dal ritrovamento del cadavere: «La chiamata che mi ha fatto ieri non mi ha convinto... ma per niente proprio, perché chiedere a me, capito!»; e poi snocciola il contenuto di quella telefonata: «Niente, mi ha chiesto se è vero che io ho dichiarato, come le hanno detto delle persone, che io e lei abbiamo sentito gridare Sara... io ho detto: no che non ho dichiarato niente perché non è niente vero».
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