Ci sono diversi modi per conoscere il mondo. Il più poetico, però, resta quello di imbarcarsi su un mercantile e affrontare il mare. Lo ha fatto il protagonista di Creuza de ma, il disco in dialetto genovese pubblicato da Fabrizio De Andrè nell84. Il mare separa, si sa, ma nel caso nostro (o meglio nostrum) dovrebbe unire. Mai come oggi è chiara la vocazione del Mediterraneo a farsi anche cammino salvifico (per rifugiati e migranti). A 27 anni dalluscita del disco Bruno Bigoni, regista e produttore tv (tra i fondatori del Teatro dellElfo insieme con Salvatores), ha voluto ripercorrere il cammino del marinaio che simbarca per vedere la luna «nuda». E il risultato del viaggio per mare è il docu-film Il colore del vento (nelle sale dal 14 aprile distribuito dalla Teodora film). Le canzoni di De Andrè fanno da contrappunto alla risacca e al silenzio di un cielo stellato. Mentre un marinaio, chino sul parapetto del ponte di prua, si difende come può dal freddo della solitudine, allorizzonte si intravede il profilo dei tetti di Tangeri. Non più mecca dei poeti della Beat Generation, non più esilio dellanima per «maledetti» come Jean Genet, Tennessee Williams e Paul Bowles, la città marocchina si presenta agli occhi del marinaio come una terra dove si coltiva solo la speranza. Di superare il mare, di vincere la paura, di trovare un lavoro. Un garzone risponde sicuro: voglio imparare a leggere e a scrivere e voglio soffocare questa fame che mi corrode. Ma lo dice con una luce intensa negli occhi; la paura non ha ancora spezzato le gambe ai suoi sogni. Bigoni articola il suo viaggio attraverso alcuni porti «emblematici» del destino che ha modificato il volto del Mediterraneo. Per scoprire, però, che al fondo resiste unumanità tanto antica quanto disarmante, nei confronti della quale anche gli orrori della guerra nulla possono. Dalla tunisina Sousse, passando per Bari, e proseguendo per Lampedusa, Dubrovnik e Genova, la macchina da presa propone scenari sempre diversi ma ostinatamente affini, nel comune destino di vivere il mare come fonte di vita, cibo di speranza o trappola mortale. E le storie dei migranti moderni, quelli che si giocano la vita sulle carrette del mare, è raccontata dai lampedusani e da Violeta, unalbanese che ricorda il suo viaggio della speranza terminato nel 91 nel capoluogo pugliese. Storie di pietà ma anche di diffidenza, che il regista alterna senza imporre il proprio punto di vista (qualità che insieme alla perizia tecnica e alle suggestive musiche di Mauro Pagani rende Il colore del vento un piccolo gioiello). E così una coppia di Lampedusa racconta cosa vuol dire svegliarsi nel cuore della notte e accorgersi che davanti alla porta di casa cè un centinaio di persone zuppe, sfatte, spaventate e assetate. Mentre un vecchio allevatore di conigli non è disposto a condividere con altri la sua povertà. La libanese Sidone rivive nelle immagini di repertorio e nella struggente interpretazione che Mouna Amari offre della canzone Sidon, dedicata da Pagani e De Andrè allunico dolore che tutti affratella in guerra: la perdita di un figlio. Amari, è la direttrice del Conservatorio della tunisina Sousse, dove i giovani studiano la musica araba per non estirpare le radici mentre i loro occhi restano fissi sulla linea dellorizzonte: di là dal mare cè infatti lEuropa. Il viaggio si conclude tra i carrugi genovesi; a scovare le nigeriane e sudanesi che non solo hanno sfidato un mare mai visto prima, ma hanno anche dovuto sopportare mesi di viaggio a piedi prima di raggiungerlo. «Solo il deserto è più pauroso del mare» confessa una di queste ragazze, mentre per istintivo pudore indossa una parrucca bionda e un paio di occhialoni anneriti. È un involontario omaggio a Bocca di Rosa.
«Prima di arrivare qui non avevo mai visto una persona con la pelle bianca. E ora non fanno che dirmi: Vattene via e lascia stare mio marito». Un lungo viaggio per capire, insomma, che le rive lontane del Mediterraneo sono animate dalle stesse paure e dalle stesse speranze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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