È passato un anno dalla sorpresa. Il suo nome era una cantilena inarrestabile: Marino, Marino, Marino, Ignazio Marino, Bersani, Bersani, Marino, Franceschini, Marino. Le primarie sono una slot machine che i nomenklatori del Pd non hanno mai saputo tarare bene. È la loro debolezza, da eterni dilettanti. Il dottore questo in fondo lo sospettava e ci ha scommesso sopra. Lui si è sempre occupato di affari terminali e ha imparato che in questa vita l’unica cosa certa è la morte. Almeno per ora. Magari un giorno la scienza regalerà all’uomo anche questo ultimo azzardo: l’eternità. La prima scelta come segretario del Pd fu una lettera di licenziamento: il suo. Ignazio prese carta e penna e scrisse quattro fogli di livore malcelato al suo datore di lavoro: Massimo D’Alema. Questa è una cosa che sognava da tempo, la rivincita, la risposta a quella battuta odiosa della vigilia. Ve la ricordate? «Marino lavora per me. È uno dei più validi collaboratori della fondazione Italianieuropei. Lo abbiamo lasciato candidare. Ora torna qui a fare il suo mestiere». Odioso, come nel suo stile. Firmato D’Alema.
Marino ora ha in mano il partito. È suo. D’Alema gioca a fare l’intellettuale disilluso, ma non conta nulla. Tutti hanno scoperto che il dottore non è una persona mite e neppure umile. Ha decapitato i vertici, uno ad uno, con la lucidità del chirurgo. Il potere, ripete continuamente, appartiene alla società civile. Questo essere supremo e invisibile, difficile da toccare, che nel Pd si sono chiesti a lungo chi fosse. La risposta è arrivata presto. La società civile è Marino e un pugno di suoi amici. Marino decide. Marino non ascolta nessuno. Marino appare sempre più solo, ma nessuno ha ancora il coraggio di ribaltare il voto democratico delle primarie. Tutti sono pronti con veleni e stiletti a farlo fuori, ma in modo pulito, corretto, senza spargere sangue. E poi quel maledetto dottore ha ancora l’appoggio dei grandi padri di Repubblica. A Scalfari piace. Si capiscono al volo. Tutti e due chiacchierano con un Dio laico e barbuto. E in questo si riconoscono.
Marino ha gettato il Pd in tutte le battaglie scientiste e transgeniche, sfidando a muso duro vescovi, cardinali, Ratzinger e post democristiani. Come uno Zapatero senza governo e maggioranza ha parlato tanto sui giornali, riempiendo pagine e pagine di chiacchiere e proclami. Il Pd è diventato un’orgia di disquisizioni sugli embrioni, sul diritto alla buona morte, sulla famiglia di fatto, sull’etica e il buoncostume, sulla differenza tra omosessuali, transessuali e transgender, sulla bieca reazione del pensiero teologico e clerotizzato. Marino quando parla di economia ripete le stesse parole d’ordine, a cui neppure più i precari credono più: salario minimo garantito, i malanni della flessibilità, e prepensionamenti a raffica. L’ultimo discorso diceva più o meno così: «Vanno attuate politiche di sostegno all’invecchiamento attivo sia in direzione del prolungamento volontario del lavoro, che del sostegno alle diverse forme d’impegno civile e sociale, contrastando le discriminazioni legate all’età e moltiplicando le forme flessibili e parziali di pensionamento».
Il risultato di tutto questo è che il Pd sta scomparendo. I sondaggi lo danno quasi allo stesso livello dei Verdi, che dopo il cambio di segretario non si muovono più come un partito di nicchia.
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