Mario Paternostro e Genova al microscopio

Mario Paternostro e Genova al microscopio

Diario di un cronista di provincia. Genova 1960-2009 (De Ferrari) di Mario Paternostro è un simpatico e frizzante libro di teatro: le scene sono piazze e vie genovesi con botteghe storiche, scuole d'élite e non solo, trattorie tipiche, librerie (che il Beaubourg Feltrinelli sopravanzò); i genovesi sono attori, protagonisti e figuranti. Alla prima scena, in Galleria Mazzini, ci viene incontro il commendator Savinelli dell'omonimo negozio per fumatori, democristiano erede di Callisto Bagnara, Gran Commerciante della città, presidente della Camera di Commercio che nel retrobottega ha una collezione di centottanta pipe d'autore.
A «presidiare» via Roma (con Pietro Romanengo della stirpe dei canditi) erano i tre fratelli Macchiavelli, socialisti, avvocati, di cui Giuseppe detto «U Pippu» sfiorò un posto da Ministro della Marina mercantile. Con Taviani i Macchiavelli ebbero un accordo di «non belligeranza» che sembra si ripeta tra Scajola reggitore delle fila di centro destra e Burlando che comanda la sinistra al governo.
I perché della politica di ieri tuttora attuale? «Il genovese pensa in famiglia, la sua è una cultura di clan»; «Genova è la città più vecchia d'Italia con il record delle microfamiglie, anche una delle più vecchie d'Europa»; «la professione di badante ha soppiantato quella degli avvocati che ne hanno fatto la storia professionale», «il tasso delle truffe agli anziani è altissimo». «Corso Italia è là dove c'era il mare» e così per l'Amministrazione mentre «una verandina sul tetto è un orrore urbanistico che incontra mille ostacoli burocratici, per la variante del Lido di Genova si corre come sulle strade di Montecarlo nei giorni del Gran Premio». Ad ostacolare le iniziative i comitati: in difesa di sparuti arbusti all'Acquasola, l'anti-Gronda, Carignano e Albaro che non vogliono le blu area per la sosta. A Genova protagonista Paternostro riserva definizioni con arte giornalistica graffiante, spesso a fine capitolo come in un «rush» finale: «Genova la più meridionale delle città del nord», «la più sovietica d'Italia», «la più conservatrice nel metodo politico, nell'industria, nella borghesia», «Staglieno, la sua città cimiteriale, showdown dei borghesi».
Il libro è anche un testo di costume in cui ritrae i personaggi con pennellate di colore. Della «gran bella gioventù» sfornata dal Liceo Colombo ricorda Silvio Ferrari «arte raccontata con storia e politica», Enrico Parodi «Dante e Manzoni magistralmente sceneggiati», Marco Buscaglia «greco e latino insegnati come l'inglese e lo spagnolo, lingue da parlare tutt'i giorni». E poi l'allieva Marta Vincenzi «ragazzona che metteva soggezione, militante comunista, convinta». Polemizzando, ma con ironia, sulla politica, invita la sindaco, che ha fondato la sua giunta sul principio della discontinuità con Pericu (cui si deve l'adesione al Pd di molta borghesia), a decidere: le scelte se danno risultati ricuperano consenso.
I medesimi politici sono nel libro «Trent'anni di colloqui con Taviani» di Paolo Lingua, pubblicato anch'esso a novembre scorso da De Ferrari.

È buona idea metterli a confronto nello scaffale nobile di biblioteca. Sono storia di Genova in presa diretta. La differenza è lo stile: Lingua scrive asciutto «a scarpe strette», Paternostro «a scarpe larghe» per restituirci un mondo nei particolari.

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