Maroni sfida i colonnelli leghisti: «Mi isolano, ma la base è con me»

Maroni sfida i colonnelli leghisti: «Mi isolano, ma la base è con me»

Roma«Osannato dai militanti e isolato da certi colonnelli... è uno splendido isolamento». La battuta fatta da Maroni col suo cerchio (non magico) di fedeli, rende l’idea della situazione dentro al comando generale del Carroccio, quello dei colonnelli e del generale Umberto. L’ex ministro ha ottenuto un plebiscito dalla base leghista, con 320 sezioni che l’hanno invitato nonostante il divieto di via Bellerio, ma tra i capi della Lega non trova altrettanti consensi, anzi il contrario. Bossi sospetta di lui, del suo protagonismo, della popolarità tra i militanti. Ma sono soprattutto gli altri capi che non vedono affatto di buon occhio l’ultimo Maroni «movimentista».
A cominciare dal suo eterno rivale per la successione, Calderoli, che di fronte al diktat non avrebbe mosso un dito, assecondando la decisione-bavaglio del capo, davanti ad una platea di trenta coordinatori provinciali riuniti nel nazionale (così si chiama la direzione politica della Lega lombarda) e allibiti dal divieto di comizi deciso per Maroni. Il bergamasco non viene considerato vicino al «cerchio magico», ma neppure a Maroni, anzi molti pensano che non si straccerebbe le vesti se «il Bobo» venisse fatto fuori. E pure Roberto Castelli non condivide la linea «ribelle» di Maroni, anche se lo ha sentito a lungo per telefono consigliandogli prudenza (sono vecchi amici). L’ex ministro di Lecco comunque un segno di vita pare l’abbia dato, cercando di calmare i segretari provinciali, molti dei quali maroniani e quindi sul piede di guerra, assicurando che «se conosco il rapporto tra Maroni e Bossi si parleranno e faranno pace», cosa che poi in qualche modo è avvenuta, anche se più che pace è tregua armata.
Maroni (che da Fazio a RaiTre ha detto «a qualcuno ai vertici non sto simpatico») però non ha apprezzato questa prudenza (i maroniani più hot dicono invece «pavidità») dei colonnelli. La delusione più grande, dicono, riguarderebbe un big che fino all’altro ieri era considerato un maroniano di ferro, cioè Giancarlo Giorgetti, che poi, da segretario nazionale della Lega in Lombardia, è stato l’esecutore materiale del diktat (suo malgrado, dicono invece i maroniani meno bellicosi...). In Veneto c’è l’asse con Tosi, non con Zaia che è attendista, mentre su Roberto Cota, governatore piemontese e segretario della Lega Piemont (da lì nessun invito a Maroni), c’era la certezza che avrebbe seguito l’ordine di Bossi.
Dalla loro i colonnelli sostengono due cose. Primo, la Lega è Bossi, anche quando prende provvedimenti che scontentano il partito. Secondo, a che titolo Maroni detta la linea su Cosentino o parla delle future alleanze della Lega? In effetti, dal punto di vista formale Maroni è solo un deputato. Non è più ministro, non è segretario di niente, non è neppure capogruppo, perché Bossi gli ha detto che non glielo fa fare, lasciandolo all’arcinemico Marco Reguzzoni. Quindi, chiedono i colonnelli, perché Roberto (maroni) parla da leader? Mettiamoci anche un po’ di invidia, e la guerra la capisce anche un bambino.
E adesso? Anche dopo l’incontro di ieri a Milano tra Bossi e Maroni («abbiamo fatto due chiacchiere»), la situazione è di attesa, ma piena di tensioni. Cosa succederà domani a Varese, al teatro Apollonio dove si sono radunate centinaia di persone per celebrare Maroni? Quali saranno, e contro chi, gli slogan della platea maroniana, fatta di sindaci e militanti? Arriverà Bossi a sorpresa? Stessi presagi che caricano la vigilia della manifestazione della Lega a Milano, il «No Monti Day». Anche lì si prevedono fischi (a Bossi, come a Pontida?), striscioni inneggianti, caos. La soluzione, per tre quarti del partito, sono i congressi. Tre in particolare, già scaduti da mesi. Quelli per eleggere i nuovi segretari della Lega in Lombardia, Veneto e Piemonte.

Alla conta, come si è capito, vincerebbe Maroni. E poi all’orizzonte c’è il congresso federale. Per ogni leghista Bossi è insostituibile. Ma se la sua leadership è fatta di divieti e investimenti in Tanzania, persino un leghista potrebbe cambiare idea.

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