Maroni: «Volevano uccidere Silvio»

«Silvio Berlusconi ha rischiato di essere ferito gravemente, di essere ucciso». Il ministro dell’Interno Roberto Maroni riferirà oggi alla Camera e al Senato i dettagli sull’aggressione subita dal presidente del Consiglio in piazza Duomo a Milano domenica sera. Ma già ieri, dopo aver ricostruito la dinamica con i responsabili della sicurezza nel capoluogo, ha ammesso che poteva andare molto peggio. Nonostante le polemiche sollevate subito, anche da parte del Pdl, sulle falle nei sistemi di sicurezza - il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha chiesto la «testa» del questore, Vincenzo Indolfi -, Maroni ha difeso le forze dell’ordine che, anzi, sono riuscite ad evitare una tragedia. Perché l’agguato era teso anche da militanti che si erano intrufolati proprio sotto il palco. Ha sottolineato per dieci volte che «l’ordine pubblico è stato fatto secondo tutte le regole, non ho nessun richiamo nè censura da fare a chi ci ha lavorato». E rivela che poco prima del comizio in piazza, la polizia ha sventato un tentativo di contestazione violenta proprio sotto il palco: un gruppo organizzato si è infiltrato con le bandiere del Pdl, salvo poi nascondere «uno striscione violento contro il premier, lo stavano per esporre ma sono stati bloccati e allontanati». Maroni attacca duramente chi continua a fomentare le tensioni, «spero che questo episodio gravissimo contribuisca a cambiare il clima infuocato, specie all’inizio della campagna elettorale» ammette il ministro della Lega, ma «se penso alle parole di un esponente del Pd», ha detto riferendosi a Rosy Bindi, «che non ha trovato di meglio che dire “ora Berlusconi non faccia la vittima” mentre ha rischiato di essere ucciso e si trova ricoverato in ospedale con le ossa fratturate, mi sembra che non siamo sulla buona strada». Il capo del Viminale ha ribadito che l’aggressione al premier è stato «un episodio gravissimo che deve essere condannato da tutti, e purtroppo così non è stato», e insiste: «Non è stato un problema di ordine pubblico, trova origine nel clima violento e nella dialettica politica che non rientra nei canoni della normalità». Punta il dito anche contro i siti internet che «istigano alla violenza» (domenica sera solo su Facebook sono comparsi subito 300 gruppi che osannavano l’aggressore Massimo Tartaglia come un eroe), nei prossimi giorni valuterà misure e strumenti che portino anche ad oscurarli, perché «i minori e le persone con problemi psichici sono facilmente influenzabili». Nessuno nasconde la paura che si torni a una stagione dell’odio: a Milano la tensione era alta già da sabato, quando i centri sociali hanno duramente contestato le autorità che erano in piazza Fontana accanto ai familiari delle vittime per il 40º anniversario dell’attentato. «Non prevedo leggi speciali, se il confronto tra le parti politiche tornerà ad essere quello che deve essere quelle che esistono sono sufficienti - anticipa Maroni -. Ma nei prossimi giorni valuteremo la possibilità di dotare le forze dell’ordine di maggiori strumenti per garantire la sicurezza a chi partecipa a manifestazioni pubbliche e comizi, perché si possano esprimere le proprie idee e fare campagna elettorale senza rischiare la vita».
Anche il sindaco Letizia Moratti, che ieri ha incontrato brevemente il ministro, è preoccupata per il clima che si respira in città: «Spostare le responsabilità di ciò che è successo sulla polizia è sbagliato. Sono episodi che nascono dal clima che c’è nel Paese, ognuno di noi deve mantenere toni bassi, la gente ha bisogno di normalità». «Certe dichiarazioni - ha detto riferendosi alle parole del leader Idv Antonio Di Pietro subito dopo l’aggressione - non aiutano. Chi alimenta odio ha responsabilità».

E proprio il consiglio comunale di Milano ieri, con un ordine del giorno votato all’unanimità, ha voluto lanciare un messaggio bipartisan di «piena solidarietà al premier» e di «ferma condanna» al «crescente clima di odio e demonizzazione dell’avversario politico e delle istituzioni che sta caratterizzando la vita politica negli ultimi tempi» e ai «tentativi di imporre con la violenza le proprie opinioni».

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