Marrazzo si dà malato e salva il Pd

RomaTre giorni col fiato in gola, tra le voci di una partenza immediata che si rincorrono, per una comprensibile fuga dall’assedio mediatico, e la visita a sorpresa al policlinico Gemelli. Una visita «politica», frutto di un pizzico di cinico pragmatismo del suo partito, quella di Piero Marrazzo nell’ospedale romano dell’università Cattolica. Necessaria per «perfezionare» l’autosospensione, decisa quando sono emerse le contraddizioni nel suo racconto a caldo sul videoricatto col trans. Fondamentale per mollare la poltrona di governatore del Lazio al vice, Esterino Montino. Piero Marrazzo doveva motivare il suo «impedimento temporaneo». E visto il fuoco di fila dei tanti nel Pdl che hanno sollecitato a non scherzare con i certificati medici, l’apparato del Pd l’ha invitato a marcare visita. Stress psicofisico, la diagnosi del medico. Trenta giorni la prognosi. Sufficiente per rimandare le dimissioni, e per scongiurare l’ipotesi di elezioni anticipate che il centrosinistra voleva a tutti i costi evitare.
Lo stress è senza dubbio vero. Piero Marrazzo è un uomo a pezzi, emotivamente provato da un fine settimana a dir poco sconvolgente. Cominciato come presidente della giunta regionale e finito in scarsa gloria, col presunto ricatto e le sue giornate con i trans sparate in prima pagina su tutti i giornali. Ma quei trenta giorni di riposo, come spiegato, fanno comodo soprattutto al Partito democratico, che può evitare di tuffarsi in campagna elettorale in tempi brevissimi pagando lo scotto dello scandalo. Cinismo pragmatico, appunto. Perché dopo essere scivolato sulle sue dichiarazioni a caldo, quelle in cui aveva definito «bufala» la notizia del videoricatto, da un lato i vertici del Pd hanno chiesto a Marrazzo di farsi da parte, ma dall’altro gli hanno imposto di farlo con molta calma, rinunciando alle dimissioni d’impeto a cui il governatore aveva pensato. E così sabato gli hanno dettato i tempi e i modi della exit strategy: autosospensione, delega a Montino, lettera di dimissioni da accettare tra un mesetto. Perché dal momento del suo addio il tempo massimo per tornare alle urne è 135 giorni, troppo pochi perché Piero possa lasciare adesso: si andrebbe a votare a metà marzo, due settimane prima dell’election day indicato da Maroni.
Insomma, anche la partenza in cerca di un po’ di pace viene rimandata per obbedire all’ultimo diktat e onorare il rendez vous con i medici del reparto di emergenza del Policlinico Gemelli, diretto da Nicolò Gentiloni Silveri, cugino del responsabile comunicazione del Pd, Paolo Gentiloni. Ma a «comunicare» gli esiti della visita è stato il nuovo reggente della giunta (ieri la prima riunione senza Piero a coordinarla), Montino. Che ha dato notizia del referto medico e ha assicurato sulla «decisione di Marrazzo di dimettersi dopo il periodo di convalescenza». Per aggiungere che comunque «le dimissioni stanno nelle sue mani» e che dunque la giunta «non sa dire di preciso quando verranno rassegnate», frase dal sapore beffardo, infatti accompagnata dalla precisazione che «non supereranno sicuramente il prossimo mese».
Lui, l’ormai ex governatore, intanto smobilita dal ponte di comando. Ieri ha anche scritto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per comunicare la rinuncia all’incarico di commissario governativo per il rientro dal deficit sanitario. Avrebbe voglia di farsi da parte, di sottrarsi alle attenzioni del media, e tanto più alla polemica politica sul «percorso» delle sue dimissioni. Ma non può. Ora che il certificato medico giustifica la sua assenza per i prossimi trenta giorni (e Montino ha anche fatto dell’ironia sui dubbi avanzati da Maurizio Gasparri), forse riuscirà a prendere un aereo che lo porti lontano da tutto. Chi lo conosce, dice che l’unica cosa che gli importa al momento è riprendere i fili della sua vita privata. Spiegarsi con le persone più care, ritrovare una serenità che ora sembra davvero lontana, non pensare al precipitare degli eventi degli ultimi giorni. Ma forse anche questa aspirazione così umana dovrà attendere.

Non si esclude che gli investigatori che scavano sulla vicenda, sul presunto ricatto ai suoi danni portato avanti fin dall’inizio di luglio da quattro carabinieri, vogliano approfondire la sua versione dei fatti, ascoltandolo di nuovo, mettendo a verbale le sue parole ancora una volta.

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