Marrazzo stavolta lascia sul serio I Pm lo risparmiano: non è indagato

INDAGINI Il governatore deve ancora chiarire l’identità del trans nel video che lo ha rovinato

RomaPiero Marrazzo lascia. L’ambigua autosospensione imposta dal Pd al governatore sull’onda dello scandalo del videoricatto con il trans viene superata dai fatti. Ieri pomeriggio il presidente della giunta regionale del Lazio ha rassegnato, con una lettera, le sue «definitive e irrevocabili» dimissioni. «Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla guida della Regione», scrive l’ex conduttore di Mi manda Raitre nella missiva, in cui rivendica di aver «operato per il bene della comunità laziale» al di là «degli errori personali che posso aver commesso nella mia vita privata». Marrazzo lascia la presidenza e adesso al timone della Regione c’è il suo vice, Esterino Montino.
La decisione è arrivata il giorno dopo la visita al Gemelli che aveva certificato lo stato di stress psicofisico del governatore. Doveva essere il suggello sulla soluzione trovata dal Pd per evitare le elezioni anticipate e navigare fino all’election day di fine marzo. Ieri il colpo di scena. Chi è vicino a Marrazzo sostiene che la vittima del presunto ricatto da parte dei carabinieri che lo avrebbero filmato in compagnia di un trans abbia, alla fine, puntato i piedi. Imponendo la scelta di andarsene subito, già manifestata sabato scorso. Decisione dettata sia dalla volontà di sottrarsi alla pressione mediatica che da motivi di opportunità: per quanto il suo ruolo nell’inchiesta sia al momento esclusivamente quello di parte lesa, un cambio della sua posizione giudiziaria avrebbe reso imbarazzante il passo indietro solo parziale da parte del presidente della giunta. Ipotesi al momento remota, visto che la Procura ha smentito non solo la possibile iscrizione di Marrazzo nel registro degli indagati, ma persino un suo nuovo interrogatorio in tempi brevi. Anche se il governatore dovrà tornare di fronte agli inquirenti per chiarire alcuni punti, come l’identità del trans che era con lui quando avvenne la presunta irruzione dei carabinieri: entrambe le omonime trans «Natalie» ascoltate dal Ros avrebbero infatti negato che quel video sia stato girato in loro presenza.
Qualcuno, però, ipotizza che anche la stessa maggioranza in regione abbia cambiato idea sull’opportunità di imporre a Marrazzo un «percorso graduale» verso le dimissioni. E che, per evitare di arrivare allo scontro con l’opposizione, che minacciava di portare il caso in Parlamento, il Pd abbia alla fine deciso di lasciare che fosse Marrazzo a scegliere liberamente. E ora come ora il presidente dimissionario ha solo voglia di tornare nell’ombra.
Ieri il suo avvocato, Luca Petrucci, aveva rivelato che Marrazzo si fosse rifugiato in un monastero per «ritrovare se stesso, per meditare, per trovare equilibrio e serenità». Si è scatenata la «caccia al convento», ipotizzando un soggiorno nella foresteria dell’Abbazia di Montecassino, che però ha smentito, e poi un pellegrinaggio vano di struttura in struttura, senza trovarne una disponibile. In realtà il governatore, per evitare di trovarsi braccato dai cronisti, ieri avrebbe momentaneamente accantonato il progetto del buen retiro spirituale, e non si sarebbe mosso dalla sua casa di Colle Romano, sulla via Tiberina, a nord della Capitale. Scosso, irriconoscibile, affamato di un po’ di tranquillità, Marrazzo definisce se stesso «un uomo distrutto» nella lettera di commiato da presidente. E riparte da quella che, dopo le comprensibili scintille, è la sua prima certezza: la famiglia non lo ha mollato. Non la moglie Roberta, che dopo essere partita con la figlia nel fine settimana più rovente è tornata a casa, e alla sua vita di sempre (ieri mattina ha anche moderato un dibattito). Non le figlie, non il fratello. E mentre Piero sogna un po’ di oblio, la questione ora è quando il Lazio andrà alle urne. Il presidente del consiglio regionale, Bruno Astorre, ha indicato nel 7 e 8 marzo la scadenza, ma ha chiesto al governo di inserire una norma transitoria per il Lazio nel decreto che fisserà l’election day per il 28 marzo. Ipotesi esclusa dal leader della Destra, Francesco Storace.

Per lui oltre l’8 marzo non si può andare, e «una norma transitoria nazionale non è pensabile». Dribbla la polemica Montino: «Si va verso le elezioni, adesso vediamo quando, condividendo la scelta con le opposizioni». Piero non c’è più, ma lo show va avanti.

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