Politica

Marrazzo vuole il perdono? Prima si dimetta

Implora il Papa. Poi si dà malato fino al 25 gennaio per evitare elezioni anticipate

Perduto il rispetto, perduto l’onore, Piero Marrazzo si disfa anche dell’ultima virtù che nonostante i filmini, ricatti, la droga e le Brendone gli avrebbe consentito di tenere la schiena dritta: la dignità. Fa sapere, dall’uno o l’altro eremo dove s’è rinchiuso per meglio fare i conti con se stesso e con la sua incommensurabile stupidità, d’essere pentito. Pentito e distrutto. Distrutto e prostrato. Prostrato e depresso. Depresso e addolorato. Insomma, uno straccio. Ha anche invocato la clemenza di Papa Benedetto XVI: «Santità, mi perdoni per tutto quello che ho fatto». Piero Marrazzo, insomma, si è cinto e stringe sempre più il cilicio nell’assillo di espiare i suoi non pochi peccati. Però la cadrega (e il ricco emolumento), quella se la tiene, sostenendo il ruolo, ambiguo come le sue frequentazioni, di dimissionario in carica. Al male ch’egli ammise, la mano sul cuore, d’aver fatto all’istituzione che tuttora rappresenta, la Regione Lazio, non sembra aver molta voglia di porre rimedio. Resta presidente, resta governatore. Di cenere da cospargersi sul capo ne consuma a quintali, ma la cadrega non la molla.
Piero Marrazzo non è una cima. Va a scegliersi un harem di transessuali nella più affollata, frequentata, visibile, pettegola (e squallida) riserva indiana di quel genere di battone/i. Si fa filmare in mutande, se basta. Consente che quegli energumeni in fattezze muliebri lo chiamino sul telefono dell’ufficio. Si reca ai festini a bordo dell’auto blu con chauffeur. Si fa ricattare. Colto in fallo fa il Sircana: s’indigna, sibila che è tutta una montatura, un complotto antidemocratico ai danni suoi e della sinistra tutta. Tutto ciò senza nemmeno trovare un Prodi che lo difenda, che gli manifesti solidarietà. Non essendo una cima s’è fatto facilmente convincere dalla banda di marpioni ai quali politicamente fa capo a calare, stavolta metaforicamente, le braghe della sua dignità fino alle caviglie. Due volte. Con una prima richiesta di certificato medico che attestasse la momentanea impossibilità di attendere ai suoi molteplici incarichi, cosa facile da ottenere («forte stress psicofisico», capirai) e che consentì a Marrazzo di «mettersi in malattia» e scongiurare in prima battuta quello che i Democratici più paventavano per il forte rischio di prendere una batosta: le elezioni regionali anticipate. La «malattia» non si protrarrà oltre novembre, dichiarò allora il vicepresidente reggente della Regione Lazio, l’ineffabile Esterino Montino: «Il certificato parla di trenta giorni per poter riprendere l’attività. Trenta giorni che serviranno a Marrazzo per decidere quando consegnare le sue dimissioni che quindi dovrebbero arrivare al massimo entro un mese». Il secondo atto di ubbidienza, la seconda mazzata alla propria dignità, Marrazzo se l’è sferrata mercoledì scorso. Smentendo le ipocrite panzane di Esterino Montino che poi sono le solite ipocrite panzane dei «sinceri democratici», dal chiuso del suo ritiro spirituale il dimissionario in carica ha voluto render noto che persistendo il forte stress psicofisico il medico gli aveva prescritto altri trenta giorni «di malattia», la qual cosa significa che Marrazzo cesserà le sue mansioni il 25 gennaio. Cioè, guarda caso, alla vigilia della convocazione dei comizi in vista delle elezioni amministrative di fine marzo.
Prestarsi a un giochetto delle tre carte di tal genere e al contempo flagellarsi, fare penitenza, recitar rosari e buttarsi ai piedi del Santo Padre implorando il perdono, è un esercizio che va al di là delle intenzioni di chi lo ha inventato. Parliamo del geniale (in queste faccende) Antonio Di Pietro. Il quale impose a Cristiano, il suo figliolone coinvolto in un’inchiesta giudiziaria, di dimettersi dal partito, mantenere il posto di consigliere provinciale e quindi, chetate le acque, tornare a far parte attiva dell’Italia dei Valori, e sottolineo valori. Cristiano fece fare tutto al padre, standosene zitto e mosca. Marrazzo no, alle prime avvisaglie dello scandalo che lo ha investito Marrazzo saltò su dicendo: «Ho una mia dignità da difendere».

Si deve essere arreso.

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