nostro inviato a Palermo
Le «perplessità» di Oscar Luigi Scalfaro sul carcere duro per i mafiosi. Ne parla a verbale, l11 ottobre 2002, lex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, convocato come teste dai magistrati fiorentini che indagarono sui mandanti occulti delle stragi di mafia. Rievocando i passaggi salienti che nel giugno del 1992 portarono allapplicazione del 41bis, e in subordine ai problemi e alle soluzione adottate per assicurare al testo conformità ai precetti costituzionali, Martelli illustra la genesi di quelliniziativa spiegando innanzitutto che con Giovanni Falcone «non si parlò mai di 41bis». La decisione, spiega Martelli, «la presi personalmente dopo la strage di Capaci, nel contesto di riunioni che si tennero al ministero insieme ai collaboratori di Falcone e poi con riunioni allargate ai responsabili del ministero degli Interni». In un primo momento Martelli si raffrontò «con una certa problematicità del direttore dellamministrazione penitenziaria, Nicolò Amato» dopodiché anche «con una certa sorpresa da parte del capo della polizia, Parisi». Quindi si ritrovò a fronteggiare un fronte che «aveva delle perplessità di carattere costituzionale sullinsieme di quelle misure, non specificatamente o non limitatamente al 41bis, ma anche misure di prolungamento della custodia cautelare, sequestro dei beni» e via discorrendo. Per superare lostacolo di legittimità Martelli si incontrò riservatamente con il presidente della Corte costituzionale «che mi suggerì il ricorso ad una sorta di applicazione temporale della misura»: un anno e mezzo defficacia, e così fu. Con questa «attenuazione temporale mi recai anche ad un incontro con il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, appena eletto, i cui uffici mi avevano avvertito di perplessità, anche da parte del Quirinale, sulla costituzionalità della norma». Lex ministro della Giustizia conferma, a più riprese, dei dubbi «garantistici e costituzionali» del Colle e del presidente della Corte, «che si sommarono a quelle di natura ecologica, poiché i Verdi protestarono» perché si venne a creare un movimento contrario, di tipo ambientalista-garantista, al trasferimento dei boss nelle carceri dislocate nelle isole, in primis Pianosa. Sul carcere duro, insomma, non tutti erano daccordo. La norma non entrò subito in vigore: «Se la firma tarda ad arrivare dall8 giugno al 20 luglio è perché incontro questa somma, non voglio parlare di resistenze... ma di difficoltà». Nel senso che «avvertii dopo un po di settimane, un po di tempo, una certa attenuazione della risposta di massimo rigore, di massima energia da parte dello Stato». A detta sempre di Martelli, queste esitazioni, «confesso, mi avevano allarmato, preoccupato, perché pensavo che fondamentale fosse lurgenza, la tempestività». Venne perso tempo prezioso tantè che Borsellino venne ammazzato. E non è un caso che Martelli rivendica con orgoglio anche il trattamento spietato riservato ai detenuti sul quale si abbattè lira dei parlamentari radicali, preoccupati per le condizioni disumane e le sevizie denunciate dai boss: «Qualcuno tra i funzionari del Dipartimento aveva interpretato troppo alla lettera il mio discorso al Senato, quel vi faremo inginocchiare ed effettivamente avevano fatto inginocchiare alcuni boss davanti a due ritratti di Falcone e Borsellino. Confesso che, come dire, questa notizia non mi turbò, non turbò il mio equilibrio morale più che tanto, perché in rapporto a quelli che erano i responsabili di gravissimi delitti, averli fatti inginocchiare non mi sembrava una misura così... una sevizia». Nel lungo verbale incentrato sulle presunte collusioni istituzionali con Cosa nostra, Martelli ricorda tutto.
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