Fine anni Ottanta. Un gruppo di scrittori e disegnatori riscrive le regole del fumetto ed è premiato dal successo. Tra le figure di spicco c'è Frank Miller, nato nel Maryland nel 1957. Un tipo eclettico. È magnifico come sceneggiatore e molto abile sia con la matita sia con la cinepresa. Nel 1986 ha riscritto il personaggio di Batman, riportandolo agli splendori del passato. Il ritorno del cavaliere oscuro è un momento decisivo della rivoluzione del fumetto che ora guarda anche agli adulti come potenziali lettori di graphic novel. Ma Miller, all'inizio del decennio successivo, ha già realizzato altre serie di qualità come Ronin, Devil: Rinascita, Elektra: Assassin. È una star. Può fare quello che vuole e lo farà: seguiranno, tra le altre cose, l'epico 300 e il noir Sin City. Hollywood mangia la foglia e tira fuori da quasi ogni titolo un film spacca-botteghino.
Miller può fare quello che vuole, si diceva. Tra il 1990 e il 2007, può fare addirittura una serie senza cadenza fissa, con l'aiuto determinante di Dave Gibbons (alle matite anche in Watchmen di Alan Moore, l'altro capolavoro del 1986). Nasce così Martha Washington, eroina fuori dagli schemi destinata a salvare il mondo dalle più incredibili minacce. L'edizione integrale delle sue avventure arriva in questi giorni nelle librerie (Martha Washington, Magic Press, pagg. 600, euro 40) arricchita da copertine, tavole preparatorie e dal commento degli autori.
Negli Stati Uniti infuria la Seconda guerra civile. La secessione potrebbe scatenare, per reazione, una dittatura. Solo Martha, che porta il nome della prima first lady americana, può far quadrare i conti. A modo suo, cioè con una discreta dose di violenza e molto senso dell'umorismo. Nel corso della sua lunga carriera, Frank Miller è stato accusato di qualunque nefandezza: fascismo (300), sessismo (Sin City), razzismo (Holy Terror). Accuse infondate. L'identikit di Martha Washington parla chiaro. È nera, donna e povera. In queste tavole, possiamo ammirare piuttosto il radicale individualismo di Miller non disgiunto da un certo patriottismo, che non equivale però a concedere carta bianca all'autorità. Anzi. Le armi servono anche a difendersi dal governo qualora diventasse dispotico. Nel frullatore del sarcasmo di Martha Washington finiscono l'Arabia Saudita (finto alleato), il salutismo (la guerra alla carne rossa si fa con le atomiche), l'eugenetica, l'ipocrisia delle «missioni di pace». Ma questi sono solo i colpi di riscaldamento. Quando sale sul ring, Miller manda al tappeto il Welfare State descritto come un campo di prigionia (letteralmente) utile a tenere in schiavitù la gente. Martha proviene dalle Cabrini-Green Homes di Chicago, un ghetto, davvero esistente, nato da un disastroso esperimento di edilizia pubblica e pianificazione sociale iniziato nel 1942 (e concluso con la demolizione nel 1995, cinque anni dopo il primo fumetto). Poi Miller passa alla politica. I conservatori amano il potere per il potere: sono disposti a tutto per restare al comando. I progressisti invece sono un distillato di idiozia: pretendono di plasmare la realtà a loro piacimento e complicano fatalmente ogni problema. Quando non sanno più cosa fare, fuggono o si abbandonano al cinismo.
Entrando a gamba tesa nella polemica sul politicamente corretto, Miller mette in scena un presidente democratico pronto a concedere «autonomia culturale» alle più disparate e grottesche minoranze. Il risultato è una guerra civile, prima a parole, poi nei fatti, con tanto di secessioni multiple in nome del puritanesimo, del femminismo, dei diritti civili estesi ai robot, degli hamburger, delle multinazionali. Non sono risparmiati neppure nazisti, eco-socialisti e capitalisti dal volto disumano. Esilaranti le parodie dei dibattiti tra intellettuali, trasformati in risse con esoscheletri fantascientifici. Tanto impressionanti quanto finte. Come il wrestling.
Non c'è quindi da stupirsi che Frank Miller abbia fatto arrabbiare tutti, a turno.
Dietro la satira si nasconde un idealismo nutrito di individualismo, come spiega l'autore stesso in una lettera alla sua creatura Martha: «Una cosa che ho sempre amato del mio paese è il suo spirito indomito, e tu eri indomita già dal giorno in cui sei nata. Tutto giocava a tuo sfavore: eri nera, di sesso femminile e povera ma non ti ha mai fermato niente. Da prigioniera di un progetto residenziale di massima sicurezza a vittima drogata di un reparto di infermità mentale, da soldato a esploratore a salvatore del mondo, a madre di una generazione degna del tuo nome, ti sei sempre, inesorabilmente, scritta da sola».
Martha Washington è un omaggio diretto ed esplicito a Capitan America, il personaggio inventato da Jack Kirby nel 1941. I fumetti però non esauriscono le fonti di ispirazione di Miller: «Sono stato ripetutamente attratto dalle idee presentate da Ayn Rand nel suo romanzo del 1957 La rivolta di Atlante. Evitando la facile e molto utilizzata minaccia totalitaria resa celebre da George Orwell, Rand si è focalizzata sui temi di competenza e incompetenza, coraggio e codardia, e ha tolto il destino dell'umanità dalle mani di un conveniente Grande Fratello e lo ha messo nelle mani degli individui con peculiari punti di forza e soggettive scelte fatte per il bene o il male.
Riconosco con gratitudine e umiltà il mio debito creativo».Martha alla fine sceglie il bene, cioè la libertà, e decide di disobbedire a chiunque le ordini di fare il male. Senza prediche, però. Lanciarazzi in pugno e battuta pronta.
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