Sport

Maserati, quel mondiale contro chi l’ha comprata

Dalla leggenda di Alfieri, pilota e costruttore, al grande ritorno nelle sport prototipi. A scapito della Ferrari, la rivale che l’ha rilevata

Enrico Benzing

Alfieri Maserati era il mio idolo, da ragazzo. Non per conoscenze dirette, essendo morto quando io ero appena nato, ma per tutto quanto di lui affiorava nella letteratura tecnica, che divoravo avidamente. Era il fondatore della celebre marca del tridente, assieme ai fratelli Bindo, Ettore ed Ernesto, mentre il primogenito Carlo, che aveva dato il «la», con la sua bicicletta a motore, a fine Ottocento, era scomparso anzitempo e Mario era pittore. Con Alfieri, che aveva dato il proprio nome all'impresa, si potevano unire le qualità del progettista e del guidatore di quelle fantastiche macchine da corsa. Proprio l'unione di quelle attività mi esaltava: da quando l'automobile è nata, tutti i giovani hanno sognato brevemente di diventare piloti famosi e grandi tecnici.
Basti pensare che Alfieri Maserati si era presentato a Monza, nel 1929, con una sedici cilindri (due otto cilindri affiancati) di quattro litri di cilindrata, con cui ha toccato per la prima volta i 200 km/h di media sul giro. Impressionante. Allora era già una celebrità. Si raccontava della sua famiglia, numerosa e stravagante, originaria di Voghera; si ricordava la sua vittoria con la Bianchi a Dieppe; si parlava delle sue esperienze tecniche alla Isotta Fraschini; addirittura, nel 1910, si era trasferito, per un paio d'anni, a Buenos Aires, con il fratello Ettore, per progettare una interessante auto da competizione, prima di fondare, a Bologna, nel 1924, le Officine Alfieri Maserati. Ad otto cilindri era la sua prima 1.500 cm³, lineare e compatta, biposto, giacché si correva con il meccanico a bordo. Era il 1926 e si era alla Targa Florio, che Alfieri vinse nella sua categoria, con Guerrino Bertocchi al fianco. Sì, proprio il mitico Bertocchi, che, negli anni Cinquanta, è stato capomeccanico, collaudatore e direttore tecnico della squadra da gran premio, una istituzione, come uomo di fiducia, come consigliere tecnico e come confidente dei più grandi piloti dell'epoca.
E qui - sia concessa la parentesi - siamo nel pieno dei miei ricordi, perché venni duramente sgridato dal «vecchio» Guerrino, ai box di Monza, colpevole di aver teso l'orecchio (non c'era ancora la telemetria), mentre lui dava istruzioni a Jean Behra, sulla favolosa dodici cilindri. «Ma se tu gridi così...», intervenne in mia difesa il progettista, quell'ingegner Giulio Alfieri che, con il suo cognome, si riallacciava al fondatore, con la stessa genialità motoristica. E, nel mio «Motori da corsa», reperibile ancora in qualche biblioteca, quale nome, se non quello di Alfieri, si poteva leggere in fondo alla prefazione?
Ora, non c'è tempo e non c'è spazio per riandare a tutte le glorie della Maserati e, in particolare, ai suoi passaggi, da Bologna a Modena (1940), all'uscita dei celebri fratelli, alle memorabili Sport, Grand Prix e Formula 1 mondiali. C'è solo da compiacersi per il ritorno del Tridente sulle piste, con il fresco successo nel campionato GT-FIA. Ma guardatele, queste GT: sono delle vere Sport-Prototipo, come all'epoca d'oro degli anni Sessanta. E, ironia della sorte, con la Maserati acquisita dalla grande rivale d'allora, la Ferrari, la contesa è stata vinta proprio contro le GT di Maranello. Che emozioni. Mi sembra di tornare al romanzo tecnico e sportivo che mi narrava il carissimo Bindo Maserati, quando andavo, più spesso che potevo, a visitarlo alla Osca. Rifletteva lo spirito di Alfieri, nell'inventiva, nel perfezionismo, nel progresso e nell'immensa passione per la competizione.

Giusto quel che ci vuole per la Maserati d'oggi.

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