Quando nonno Yerwant raccontava della sua lontana infanzia nell'Armenia anatolica, ogni cosa acquistava il colore di un quieto idillio pastorale. C'erano valli ubertose e ruscelli mormoranti, pianure e villaggi montani, e c'era la Masseria delle Allodole, dove lui, il figlio maggiore, correva libero per campi e frutteti, e rubava con l'amico Ovhannes i giganteschi meloni con una carriola. C'era la sua mamma Iskuhì dalle gote di pesca, così giovane, quasi bambina, che lo abbracciava stretto e poi giocava con lui. Le storie del Paese Perduto. Quante volte le ripetevano gli armeni sopravvissuti al Metz Yeghérn (Il Grande Male), il genocidio del 1915, sparsi dappertutto per il vasto mondo, quanti particolari raccontavano sui parenti scomparsi nel ferro e nel fuoco, sulle piccole memorie di piccoli eventi vicini al loro cuore di bambini strappati al nido e a ogni caldo conforto! E come era irrimediabile la loro profonda malinconia: sapevano che non c'era rimedio possibile, che per loro non si sarebbe mai potuto parlare di ritorno, e che lo shock dell'abbandono e della solitudine non si sarebbe mai cancellato. E sapevano che, se parlavano, non li ascoltava nessuno...
Un popolo in diaspora, che in quella terribile estate del 1915 venne scacciato per sempre - attraverso la morte o l'esilio - dalle sue terre ancestrali: e non a causa di terribili eventi naturali, ma per la funesta volontà politica del triumvirato che controllava l'impero Ottomano, e che aveva deciso di farla finita con le minoranze. Una storia ben nota all'epoca, di cui tutta la stampa (anche quella italiana!) parlò abbondantemente. Sui giornali del 1915-16 si trovano infatti moltissime notizie sui massacri armeni: si pubblicavano corrispondenze e rapporti di consoli, mercanti, viaggiatori che in quel momento si trovavano all'interno dell'impero e che avevano assistito impotenti agli orrori e potuto misurare di persona l'estensione e la violenza degli avvenimenti. Giacomo Gorrini, console italiano a Trebisonda, concesse al Messaggero di Roma un'intervista lucida e appassionata che resta ancor oggi come uno dei più documentati rapporti sull'eliminazione degli armeni dal grande porto sul Mar Nero: le barche cariche di gente fatte colare a picco, gli uomini e i ragazzi finiti a colpi di accetta; e poi stupri, rapimenti delle giovani donne, schiavitù dei bambini.
Ma perché la strage degli armeni è considerata il primo genocidio del Ventesimo secolo? Che cosa lega questa tragedia, avvenuta durante la Prima guerra mondiale, alla Shoah ebraica durante la Seconda? Quali sono le somiglianze fra Hitler e i tre massacratori degli armeni, i ministri Talaat, Enver, Djemal? Il genocidio degli armeni fu uno dei frutti avvelenati del nazionalismo ottocentesco, attecchito nell'impero Ottomano (sotto le mentite spoglie di una lotta ai vecchi costumi e alla corruzione del governo dei Sultani) col colpo di Stato del 1908, che portò al governo il partito dei Giovani turchi. Una specie di «primavera ottomana» riscaldò in quel periodo i cuori dei giovani delle minoranze, ma la ventata democratica durò assai poco, e gli armeni e i greci che - illusi - avevano marciato insieme ai Giovani turchi dovettero ben presto riconoscere che il sogno di una nuova nazione escludeva proprio loro, classificandoli come minoranze riottose di cui diffidare.
Una teoria ideologica a sostegno della preminenza dei «turchi di sangue» fu elaborata (come ha riportato alla luce lo storico turco Taner Akcam); una sistematica opera di de-umanizzazione e di pulizia etnica fu lanciata, ma per poter operare fino in fondo con successo (e per coinvolgere la popolazione turca, chiamandola anche alla guerra di religione contro gli armeni cristiani) ci voleva l'occasione adatta: fu il conflitto mondiale.
Agosto 1914: tuonano i cannoni d'agosto, come si disse allora. L'intera Europa si precipita a cuor leggero nell'immensa strage della Grande guerra. Novembre 1914: l'impero Ottomano entra in guerra a fianco degli imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria. Il principale artefice di questa scelta turca fu proprio Enver, modesto stratega dall'io fuori misura; ma oltre a tentare un'offensiva sul fronte russo, dove venne ingloriosamente sconfitto, si sentì le mani libere per affrontare la cosiddetta «questione armena». Gli armeni divennero il capro espiatorio ideale, una personale ossessione. E qui si vedono i motivi per chiamare questa tragedia genocidio. Fu uno sterminio preparato a freddo, organizzato, totale, che aveva come bersaglio un popolo intero, senza fare differenze fra uomini, donne, vecchi, bambini: lo scopo era l'eliminazione di un gruppo etnico dalla sua patria ancestrale, e fu raggiunto. Circa i tre quarti del popolo armeno in Turchia scomparve, nei mille modi dell'orrore: gli uomini subito uccisi, le donne avviate alla morte lenta della deportazione nel deserto. Furono usati vagoni piombati, primitive camere a gas, eliminazioni collettive: le tecniche usate per l'annientamento degli armeni divennero un modello che sarà ripetuto nel corso del Novecento, prima di tutto contro gli ebrei.
L'affinità fra armeni ed ebrei è apparsa sempre più evidente negli ultimi anni, in documenti e testimonianze uscite da archivi, biblioteche, corrispondenze private, da cui emergono agghiaccianti parallelismi nella sistematicità e nella ritualità delle esecuzioni, e anche nella spietata efficienza dei carnefici. Non c'è davvero nulla di nuovo sotto il sole. Provocando brividi di orrore, oggi la televisione esibisce immagini di decapitazioni di ostaggi, che seguono un preciso percorso rituale. Ma nel Dna degli armeni sono incise analoghe, terribili foto risalenti a cent'anni fa, e anche di più: teste tagliate di intellettuali, sgocciolate dal sangue, venivano esposte davanti al fotografo con garbo e un pizzico di soddisfatto orgoglio, come monito e segno di disprezzo verso i deboli appartenenti a un volgo sconfitto. Questa è l'ombra lunga del 1915, la profondità dell'abisso del male da cui ogni tanto ci illudiamo ingenuamente di essere usciti: eppure la scelta umile e coraggiosa della vita è sempre possibile, come la tenace diaspora armena ha dimostrato.
Libri
A marzo esce il nuovo libro di Antonia Arslan Il rumore delle perle di legno (Rizzoli) che conclude la trilogia iniziata con La masseria delle allodole (Rizzoli, 2004) e proseguita con La strada di Smirne (Rizzoli, 2007)
Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Francesco Berti e Fulvio Cortese (Giuntina)
Cancellare un popolo. Immagini e documenti del genocidio armen o di Benedetta Guerzoni (Mimesis, 2013)
Convegno
The Armenian Genocid e 1915-2015 , convegno internazionale presso l'Università di Padova, 11-12 marzo
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.