La Mastella in esilio, l’assassino in libertà

L’incredibile esiste. È un foglio di carta che dice: «Libero». Ce l’ha da qualche parte Giacomo Cavalcanti, uscito di cella perché è un poeta. Ventiquattro anni di condanna, per omicidio. Dieci mesi in carcere, poi a casa, senza manette, con un lavoro, con una vita, con un taccuino su cui annota i versi che l’hanno scarcerato e che hanno sepolto il senso di giustizia di questo Paese. Perché non basta dire che c’è qualcosa di cervellotico. Perché non si può giustificare questa storia come uno «strano ma vero». Qui la stravaganza sconfina nel grottesco. C’è qualcosa di bizzarro, di così originale da sembrare impossibile.
Invece c’è, santo cielo. Quel pezzo di carta esiste e racconta il disastro di un sistema che tiene in cella a volte senza alcun motivo vero chi ha commesso reati amministrativi, che mette alla berlina gli uomini delle emergenze, che lascia in esilio la signora Sandra Lonardo Mastella perché forse ha raccomandato qualcuno. Lei detenuta, un killer libero. Lei a Roma, tenuta al confino lontano dalla Campania perché potrebbe ricommettere gli stessi reati, un assassino in libertà perché ha scoperto che si può essere buoni. Perché lui è sensibile, è un artista, è una persona nuova. Inammissibile e invece diabolicamente reale. Il tribunale del riesame di Napoli ha liberato una persona condannata per omicidio così: «Non è fuggito dopo la condanna, non ha prelevato soldi in vista della latitanza. La difesa, poi, ha prodotto le copie delle copertine di pubblicazioni dell’imputato di libri e favole per bambini, la dichiarazione di un ex sacerdote impegnato nel sociale, per testimoniare il cambiamento rispetto al passato».
In qualche vecchio rapporto delle forze dell’ordine c’era già il germe della follia dei giudici. Lo definivano «uomo di cultura», i poliziotti. Sapevano. C’era anche quel soprannome: ’O poeta. È l’identificativo che si porta appresso da anni, da quando cominciò a trapelare la storia di questo boss scrittore. Magari qualcuno potrebbe anche aver letto qualcosa di suo. La rondine non lascia la terra, per esempio è il titolo del primo libro che è riuscito a pubblicare. A terra, invece, rimase senza vita il boss di Mergellina, Alvino Frizziero. Era il novembre del 1984 e fu un caso che finì su tutti i giornali: la vittima era uno degli uomini emergenti della camorra napoletana. Fu una cosa eclatante, uno di quei delitti che possono cambiare gli equilibri del mondo della criminalità organizzata, dicono adesso i napoletani forse con un po’ troppa enfasi. D’altronde che ci vuoi fare? L’esagerazione è connaturata al territorio della storia. Però la vicenda si presta e gli archivi le danno una mano: secondo la ricostruzione fatta dal quotidiano Il Mattino, Giacomo Cavalcanti negli anni Ottanta era considerato uno dei capi del cartello camorristico «Nuova Famiglia», padrino nei quartieri di Fuorigrotta, Bagnoli e del Rione Traiano. Frizziero fu fatto fuori e dopo un po’ di tempo, i magistrati individuarono il nome al quale ricondurre l’omicidio: era lui, Giacomo Cavalcanti. Il processo l’ha giudicato in primo grado il mandante di quell’assassinio. Ventiquattro anni di cella arrivati il 23 aprile del 2009 alla fine del dibattimento di Napoli. Niente carcere, però. Non subito. Cavalcanti non si allontana, anzi consegna il suo passaporto. Resta in Italia, a Verona, dove negli anni Novanta si è trasferito e ha cambiato vita: fa lo scrittore di poesie e di racconti per bambini. Passione, divertimento, irresistibile attrazione per la penna. Sensibile, lui. Un artista che per campare invece fa l’imprenditore: ha aperto una agenzia di scommesse. Sì nel 2004 ha avuto qualche problema con la giustizia quando la Dda l’ha inserito in un’inchiesta su un giro di scommesse, però niente: archiviato, pulito, sereno. Cinque anni tranquilli fino a quella sentenza e fino all’arresto del 20 maggio 2009. Subito il ricorso al Riesame, bocciato la prima volta e poi accettato. Perché? Perché è un poeta, perché «deve darsi atto che il Cavalcanti risulta ancora più inserito in un contesto sociale del tutto distante dalla sua vita anteatta». Capito? Il garantismo di convenienza: usato come notizia e non come prassi consolidata.

Qui, in Italia, siamo tutti colpevoli fino a prova contraria, poi quando un colpevole si trova, gli si abbuona la pena, gli si concede ogni beneficio, gli si garantisce l’impunità per presunti meriti letterari. Così un serial killer innamorato delle donne che uccide non dovrebbe neanche essere condannato. In fondo lo fa solo per amore, no?

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