Roma - Dovranno essere sempre presenti. Non dovranno mancare, se non per legittimi motivi e con valida giustificazione, soprattutto quando si discuterà di temi delicati. Con la nascita del nuovo gruppo finiano Futuro e Libertà, con la perdita, in realtà più formale che effettiva, di 33 colleghi, per i deputati del Pdl inizia una nuova stagione di impegno in aula. Il giorno dopo la grande scissione, dalla tristezza o dalla soddisfazione negli occhi dei protagonisti ieri alla Camera si intuiva chi ha attaccato e chi ha subito, chi vuole la lotta e chi vuole la pace.
Il ministro Giorgia Meloni, finiana ma molto scrupolosa nel seguire la linea di governo, in Transatlantico era talmente malinconica che Maurizio Lupi, uno degli uomini ormai simbolo del Pdl a Montecitorio, la stringeva forte a sé per rincuorarla. Andrea Ronchi, l’ex colonnello ma vicino a Berlusconi, si aggirava nella sala della conferenza stampa di Fini all’Hotel Minerva con la faccia di uno che sicuramente non ha dormito più di due ore.
A Montecitorio la finiana colomba Souad Sbai ci mostrava le mani e diceva: «Vedi come tremano? È da ieri che è così. Mi viene voglia di fare le valigie e partire». Il finiano falco Fabio Granata, invece, si muoveva persino atletico nel suo completo gessato e Benedetto della Vedova, supporter tra i più fedeli al presidente della Camera, spiegava: «Come sto? Sono sollevato».
Ma con il cinismo che solo questo «corridoio dei passi perduti» produce, ecco che nei capannelli tra un abbraccio, un sorriso, e un saluto mancato, tra gli inediti gadget sfoggiati dai finiani, come spillette e cravatte personalizzate che infastidiscono i moderati di Fini, già si ragiona sui numeri e sui tempi: la tenuta della maggioranza dipenderà moltissimo, oltre che dalle cifre dell’aula, dai nuovi equilibri nelle commissioni, e in particolare di alcune commissioni. La vita di questo governo dipenderà in misura anche maggiore dalla precedenza o dal rallentamento che sarà assegnato alle leggi più discusse, i grandi temi che potrebbero segnare la continuità o la fine del governo: giustizia e federalismo.
Il Pdl ha iniziato la giornata con un atto di forza, un’accelerazione: il capogruppo in commissione Giustizia, Enrico Costa, ha chiesto in ufficio di presidenza che il disegno di legge sul «processo breve» venga messo subito a calendario, per i primi giorni di settembre, dopo che per cinque mesi era rimasto fermo. Fini nei mesi scorsi aveva aperto al processo breve, ma si era pronunciato contro la prescrizione breve. La riforma della giustizia è prevista dal programma elettorale, ma i finiani fanno sapere: sarà questo il primo banco di prova delle nuove «mani libere», il voto indipendente. Il primo appuntamento sulla giustizia è in realtà il ddl intercettazioni, di cui si è appena iniziato a discutere in aula e che aprirà i lavori di Montecitorio del dopo-estate. In Senato (dove i finiani sono in numero minore ma potrebbero costituire un gruppo) è fermo in commissione Affari Costituzionali il nuovo lodo Alfano, che prevede l’immunità per le alte cariche dello Stato.
La giustizia sarà dunque il primo match tra berlusconiani e finiani, ma il dato paradossale è che proprio sul terreno della prima battaglia la fanteria di Fini potrebbe partire malconcia. Si ragionava ieri nei corridoi di Montecitorio sul fatto che con la creazione del nuovo gruppo, a «Futuro e libertà» saranno assegnati un certo numero di membri nelle commissioni. La squadra di Fini in alcuni casi potrebbe trarre vantaggio da questo cambio di equilibri, in altri potrebbe esserne penalizzata. Uno di questi casi è quello della commissione giustizia: qui i finiani al momento sono cinque. Secondo i calcoli interni, al loro nuovo gruppo potrebbe spettare ora un solo rappresentante, o al massimo due. Questo significherebbe un notevole rafforzamento della maggioranza del Pdl in una delle commissioni chiave.
L’altro provvedimento cruciale è il federalismo, in particolare il voto sui decreti attuativi. Oltre ad essere una condizione irrinunciabile per la Lega, è contenuto anche nel programma di governo del Pdl. «Non voterò mai «no» a nessun provvedimento previsto dal programma», garantiva ieri Souad Sbai, promettendo fedeltà. Anche Giuseppe Consolo, altra colomba tra le più miti nel gruppo di Fini, spiegava: «Se qualcuno vorrà andare contro questa maggioranza dovrà vedersela con me». Al federalismo però Fini tiene poco o niente. I falchi finiani ancora meno.
C’era anche chi faceva notare, ieri, come i voti a rischio potrebbero essere anche altri: «Se ci dovessero essere nuove mozioni di sfiducia per sottosegretari o membri del governo?», si ragionava nel Pdl. Molto dipenderà dalla vera battaglia politica. Ossia quella tutta interna ai finiani tra moderati e ultras.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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