Ennio Montagnani
Se si mettono a confronto gli andamenti delle materie prime e delle Borse negli ultimi 20 anni si può constatare come vi sia stata una sostanziale alternanza tra le due asset class. In particolare, dal 31 dicembre 1996 al 30 giugno 2008 l'indice Goldman Sachs Commodity total return (rappresentativo di tutte le materie prime) ha messo a segno un rialzo del +196,6% contro il +70,9% dell'indice MSCI world delle Borse mondiali, mentre da fine giugno 2008 a fine febbraio 2016 è stato l'MSCI world a registrare una performance (+10,3%) nettamente superiore a quella del paniere delle materie prime (-80,9%, trascinato al ribasso dal crollo del prezzo del petrolio). Dal febbraio 2016 a oggi, le materie prime (+17,3%) hanno però registrato performance superiori alle Borse mondiali (+12,1%).
Sulla scia di questo risultato sono in molti a chiedersi se sia possibile un proseguimento di questo trend che vede le commodity prevalere sulle azioni. Di solito i cicli nei quali le materie prime hanno registrato performance superiori alle Borse (quello 1996-2008, e i due precedenti, quello del 1985-1990 e quello verificatosi durante la stagflazione degli anni Settanta) si sono delineati in un contesto caratterizzato dall'indebolimento del dollaro e dall'aumento dell'inflazione. Inoltre, un rialzo duraturo dei prezzi delle materie richiede stimoli sul fronte del credito (erogazione dei prestiti a imprese e famiglie) e della liquidità (messa a disposizione dalla banche centrali al sistema economico). Elementi che, al momento, non sembrano esserci. Tuttavia, esiste senz'altro la possibilità che la Banca centrale Usa (la Federal Reserve) decida di accelerare il ciclo di rialzo dei tassi d'interesse sulla scia dei buoni dati dell'economia a stelle e strisce e anche dei dati sull'inflazione americana che si attestano da alcuni mesi intorno al 2 per cento. Secondo Christian Gerlach, gestore delle strategie sulle commodity di GAM sono due i potenziali scenari per le materie prime.
Il primo prende in considerazione il fatto che ci si possa effettivamente trovare di fronte a un'importante inversione di tendenza che può durare tra i 5 e gli 8 anni grazie al ritorno del ciclo di creazione dell'inflazione abbandonato nel 2008. Questo scenario richiederebbe una massiccia espansione fiscale e una svalutazione del dollaro. Il secondo, invece, avrebbe implicazioni negative per gli investitori. In questo scenario, in cui il dollaro continua ad apprezzarsi e le politiche fiscali sono prudenti, continua a prevalere l'austerità: i beneficiari sono i creditori e la Federal Reserve aumenta i tassi in assenza di pressioni inflazionistiche al rialzo. «A prescindere dallo scenario, vale la pena evidenziare come anche il più piccolo cambiamento nel contesto di fondo possa dare adito a importanti movimenti nei prezzi degli asset», sottolinea Gerlach, facendo riferimento al fatto che le valutazioni azionarie, obbligazionarie e delle materie prime sono agli estremi opposti. Infatti, qualora dovesse verificarsi il primo scenario, il potenziale di rialzo è enorme visto che il calo dell'indice delle materie prime è stato dell'80% dal 2008.
D'altra parte, nel caso in cui l'inflazione non dovesse materializzarsi, gli investitori dovranno affrontare gli stessi problemi che hanno afflitto le materie prime dal 2008 con potenziali nuovi ribassi delle quotazioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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