
Paolo Sorrentino torna a Venezia, 24 anni dopo il suo film d'esordio L'uomo in più, con La Grazia, film d'apertura e in concorso, di cui è riuscito miracolosamente a tenere segreta la trama. Accolto con applausi a scena aperta alla proiezione per la stampa e trionfalmente alla proiezione ufficiale in Sala Grande, La Grazia (previsto in uscita il 15 gennaio 2026) racconta di un Presidente della Repubblica, interpretato da Toni Servillo, bloccato dal dilemma se promulgare o no la legge sull'eutanasia e se firmare due richieste di grazia. "È un presidente dice Paolo Sorrentino parlando con un gruppo di giornalisti che esercita il dubbio, un aspetto che dovrebbe far parte della politica ma che oggi purtroppo è poco frequentato. Prima lo si chiamava immobilismo ma, sui temi morali, credo che sia la conditio sine qua non. Oggi invece gli uomini di potere esercitano certezze strampalate che vengono contraddette il giorno dopo".
Partiamo dal bellissimo titolo.
"Va di pari passo con la dichiarazione che è un film d'amore. Non solo quello più immediato verso la moglie che non c'è più e la figlia ma anche, in senso più ampio, per la Legge e su un modo di fare politica con responsabilità".
Si è ispirato a qualche Presidente della Repubblica?
"Il film nasce da uno spunto di cronaca, con Mattarella che aveva concesso la grazia a un uomo che aveva ucciso la moglie malata di Alzheimer. Il mio presidente Mariano De Santis è verosimile anche se rigorosamente inventato".
Perché ha deciso di trattare un tema come quello dell'eutanasia?
"Ho utilizzato il gancio narrativo di un dilemma morale che acuisce anche l'altro della grazia da dare. E poi l'eutanasia è un tema che implica una scelta molto difficile perché non è tra il bene e il male ma, spesso, c'è di mezzo il male minore".
Non è un film a tesi.
"Da spettatore non li sopporto, i film fatti con l'accetta che sanno dove sta il bene e il male. Qui la figlia del Presidente gli pone la domanda: Di chi sono i nostri giorni?. I giorni sono nostri ma esiste il grande muro della vita che ti impedisce di arrivarci".
C'è anche molta ironia, si ride tanto e spesso.
"È qualcosa che faccio sempre, a volte forse con minore successo, memore della commedia all'italiana con il suo uso di dramma e ironia. È un film con una location quasi unica e gli alleggerimenti erano necessari perché, come capita nella vita, nessuno è mai solo drammatico o comico".
È la settima volta che sceglie in un suo film Toni Servillo.
"Per lui ho un amore incondizionato che non ha mai conosciuto crisi. A mia memoria non abbiamo mai litigato. Ci troviamo a meraviglia e ci supportiamo. Ha una meticolosità sul lavoro che fonde leggerezza e ironia".
E Anna Ferzetti in ruolo complesso come quello della figlia del Presidente?
"Ho fatto dei provini, ho cercato attori e attrici che avessero delle cose in comune con il personaggio, ho intuito per brandelli che Anna aveva delle cose in comune con il personaggio anche per il suo rapporto con il padre (l'attore Gabriele Ferzetti, ndr) che però non ho approfondito perché sono cose sue. Ma poi gli attori o sono bravi o non lo sono".
Ci sono poi due personaggi sorprendenti, il Papa afroamericano e il cameo del rapper Guè
"Il Papa non è pretestuoso, è noto che i presidenti della Repubblica lo incontrino. Guè me l'aveva fatto scoprire mia moglie quando ho presentato Parthenope a Milano.
È una persona molto simpatica con un fondo doloroso che me lo ha fatto rendere vicino. Il 10 per cento dei testi che capisco ha intuizioni molto belle. Come il verso Chiedo dopo perdono, non prima per favore, perché per chiedere perdono è sempre meglio aspettare".