Max aveva e ha un soprannome: il campione dallo sguardo triste. Bisogna fare attenzione e osservarlo bene, ma è lì, incastonato fra i suoi occhi neri, appoggiato sul pizzetto e quel mento che sembra fatto per pungere l’aria. Quando vince, quando trionfa, quando ride, fra le pieghe del sorriso c’è sempre un’espressione malinconica. Perché Max Biaggi da Roma, trentasette anni appena compiuti, prima di diventare Max, prima di conquistare per quattro volte di fila il titolo mondiale della 250 e altrettante miss Italia, era solo Massimiliano. Un ragazzino neppure adolescente che un giorno vide sua madre fare armi e bagagli e uscire di casa. Per non tornare più.
Ora, l’uomo Biaggi, con la serenità di chi crede veramente di aver rimosso l’ingombrante ricordo, dice tranquillamente: «Da ventiquattro anni non le parlo». Perché se Max è il campione che nello sport ha trionfato, Massimiliano è il bambino ferito che ancor oggi ha il sopravvento su Max. Un piccolo ferito ma forte che un giorno decise di usare la rabbia per la mamma come benzina per riuscire nella vita.
«I miei si separarono che ero ancora un bambino – confida al settimanale A - Fu lei ad andare via di casa, e subito mi resi conto di non essere più al centro della sua vita. Non ho più avuto il desiderio di cercarla perché mi sono sentito più vicino a papà: l’ho visto più attento a me e a mia sorella. Mentre in mia madre avvertivo una perdita d’interesse nei miei confronti. La mamma, soprattutto per un figlio maschio, è una figura particolare. Ed io mi sentivo “fuori fuoco”. Un ragazzino si rende subito conto di una cosa del genere, e ne soffre».
Per la verità, che la situazione fosse irrecuperabile, Max se ne accorse anni dopo quando, ormai campione famoso, la madre lanciò un appello per tornare vicini, per tornare a parlarsi, se non a vivere da mamma e figlio, almeno a vedersi come tali.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso già incrinato di Biaggi. Quello sfogo materno mezzo stampa, ai suoi occhi, alle sue orecchie, suonò come una tardiva mano tesa che andava a mescolarsi col dubbio atroce che non fosse spinta solo dall’amore. La verità è che per capire adesso come una donna sia diventata invisibile per il figlio, per comprendere come possa concretizzarsi una simile rimozione dell’amore, si deve attingere a voci e racconti lontani, quelli che accompagnarono l’arrivo nel motomondiale del fenomeno romano. Max aveva tredici anni quando la madre abbandonò lui, la sorella Vanessa e papà Pietro. Il giudice decise di assegnare i ragazzi alla mamma. Il trauma fu enorme per Massimiliano legato a entrambi. La rottura totale con la madre - si disse - arrivò pochi giorni dopo l’assegnazione, quando lei presentò in casa il compagno quasi fosse un nuovo padre. I figli fuggirono e andarono da papà Pietro.
Seguirono mesi difficili, perché Pietro aveva problemi economici. Ad aiutarli fu il fratello, il mitico zio Valerio con la moglie. Mitico perché con papà Pietro divenne la nuova famiglia di Massimiliano e mitico perché fu proprio zio Valerio a comprargli la prima moto da corsa.
A volerla dire tutta, la storia di Max sembra quasi una fiaba triste con un lieto fine.
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