MAX SALVADORI La «crisi» di un antifascista

Non fu una spia. Ma le carte escludono che i suoi contatti con l’Ovra fossero pilotati dall’«intelligence»

Prima di prendere in esame le molte omissioni di Massimo Teodori (nell’articolo «Max Salvadori. La “spia” inventata» su Il Giornale del 29 giugno scorso) nell’interpretare i documenti inglesi relativi al «caso Max Salvadori», ritengo necessario respingere le accuse che egli mi muove di aver dato della spia a Max Salvadori malgrado le mie reiterate e pubbliche smentite. Non capisco come egli possa pensare che, se effettivamente mi fossi convinto d’una attività delatoria di Max Salvadori, avrei esitato ad aggiungere anche il suo nome a quelli dei delatori che ho reso pubblici nel mio Le spie del regime.
La verità è che nel caso di Max Salvadori, al contrario di ciò che Teodori va affermando, ho pubblicamente escluso che si trattasse di delazione; ho precisato che si trattò di un cedimento temporaneo che rimase tutto interno a Max e quindi tale da non comportare alcun danno per altri. Ribadisco: Max Salvadori non fu mai una spia; i suoi contatti con l’Ovra, documentati dagli archivi fascisti, scaturirono da una crisi politica, che interessò in quel periodo altri antifascisti, i quali videro allontanarsi, con i primi fulminei successi della Germania nazista, la prospettiva di una sconfitta del nazi-fascismo e quindi della fine del loro esilio. Molto probabilmente in quel periodo, come reazione, Max coltivò l’idea di un suo rientro in patria. Di tali questioni intendo discutere e non di altro.
Ricordiamo al lettore alcuni precedenti della vicenda così come risultano dagli archivi inglesi e, parallelamente, dagli archivi italiani. Le carte inglesi consentono di accertare che allo scoppio della guerra, tra la fine di agosto e i primi di settembre del ’39, Max Salvadori, che allora risiedeva negli Stati Uniti, veniva invitato da un suo amico londinese non identificato - come lo stesso Max racconta nelle sue memorie - a presentarsi al War Office a Londra, dove giungeva attorno alla prima decade di settembre. Dopo tre settimane londinesi di assoluta inoperosità, Max Salvadori presentava ai servizi segreti inglesi, il 29 settembre 1939, un progetto d’intervento in direzione dell’Italia vòlto a rafforzare la componente moderata e neutralista del regime fascista. Lo scopo era quello di favorire la decisione del regime fascista di rimanere fuori del conflitto. La proposta consisteva, tra l’altro, nell’avvicinare alcuni dirigenti anti-tedeschi del movimento fascista (Max fa i nomi di Bottai, De Stefani, Rossoni e Coppola) per indurli a collaborare con i Paesi democratici in guerra attraverso opera di corruzione (denaro) e propagandistica (convincerli della sconfitta certa della Germania).
Cosa è emerso invece dagli archivi italiani? Una vicenda parallela del tutto diversa. Subito dopo aver ricevuto l’invito a presentarsi al War Office, e quindi ancor prima che ricevesse un qualunque incarico dai servizi segreti inglesi, Max Salvadori si presentava all’ambasciatore italiano a Washington e, prospettando l’imminente ingresso in guerra dell’Italia, sollecitava contatti con la polizia fascista offrendo i propri servizi. A Londra veniva raggiunto il 16 ottobre 1939 da una prima lettera dell’Ovra, con cui Bocchini, il capo della polizia fascista, gli forniva un indirizzo convenzionale a cui inviare la futura corrispondenza e indicava la Svizzera come la località migliore per l’incontro richiesto da Max. Il 18 ottobre Salvadori rispondeva accettando la sede suggerita, e il 2 dicembre riferiva all’Ovra il suo arrivo a Parigi sulla strada per Ginevra, dove giungeva il 6 dicembre successivo; da qui inviava un telegramma per comunicare la notizia del suo arrivo. L’Ovra inviava allora a Ginevra un proprio emissario per l’incontro concordato, che avvenne il 12 dicembre 1939 e di cui esiste una circostanziata relazione. Nel corso di esso Salvadori confermò la sua disponibilità a sviluppare una prudente propaganda a favore della politica estera fascista, che dichiarò di approvare. Rientrato a Londra, Salvadori, su suggerimento di Bocchini, ebbe alcuni abboccamenti con l’ambasciatore italiano Bastianini, nel corso dei quali tastò il terreno sulle possibilità d’un rientro in Italia. Con l’ingresso dell’Italia in guerra, Max faceva ritorno negli Usa, da dove continuò a mantenere contatti diretti con l’Ovra fino al ’41.
Il documento inglese, su cui Teodori fonda le sue argomentazioni, è essenzialmente quello relativo al periodo 29 settembre-16 ottobre 1939, dal titolo «Propaganda in Italy», con particolare riferimento al progetto che Max presentò ai servizi segreti inglesi il 29 settembre 1939, il quale proverebbe, a suo avviso, che i contatti di Salvadori con l’Ovra erano in realtà «pilotati» dall’intelligence inglese. Teodori tuttavia omette una parte importante del fascicolo «Propaganda in Italy». Grazie ad essa infatti si viene a conoscenza che il progetto di Salvadori venne bocciato dai servizi segreti inglesi in quanto ritenuto «pericoloso», «non necessario», «imprudente», «avventuroso» e, se realizzato, fonte di «gravissimi rischi». Era ritenuta particolarmente pericolosa proprio la parte del progetto relativa alla consigliata manovra di approccio dei leader moderati fascisti, perché, qualora ne fosse venuta a conoscenza la fazione filo-nazista del Pnf, avrebbe costituito un movente sufficiente a provocare la liquidazione dell’ala moderata fascista; un rischio che evidentemente i servizi segreti inglesi non intendevano correre. Dunque il documento «Propaganda in Italy» nel suo contenuto integrale non solo informa che il progetto di Salvadori venne bocciato, ma testimonia anche di un veto apposto dai servizi segreti inglesi, a partire dall’ottobre del ’39, verso qualsiasi manovra diretta ad avvicinare personalità moderate del regime fascista.
La lettura integrale del documento inglese ci fornisce un’altra importante notizia, che non ha trovato anch’essa inspiegabilmente ospitalità nell’articolo di Teodori, cioè l’intenzione dei servizi segreti, «in ogni caso» e «nell’immediato futuro», di licenziare Max (discharge him); pertanto qualunque discussione sul suo progetto era ritenuta «piuttosto accademica», cioè inutile. Quindi no al progetto, no alla strategia degli approcci, no all’autorizzazione a Max di avviare la «diplomazia clandestina» nei confronti del fascismo moderato. Due giorni dopo la bocciatura del suo progetto, con il conseguente veto di operare nei confronti del regime fascista, Max, come attestano i documenti degli archivi italiani, infrangendo il divieto allacciava rapporti con l’Ovra. La prima lettera di Max all’Ovra porta infatti la data del 18 ottobre 1939, mentre il documento inglese con cui si annuncia l’accantonamento del progetto è datato 16 ottobre 1939. Proprio le carte inglesi, al contrario di quanto sostiene Teodori, consentono dunque di escludere che Max prese contatto con l’Ovra per ordine dei servizi segreti inglesi.
Inoltre, Max Salvadori tenne all’oscuro i servizi segreti inglesi della sua attività in direzione dell’Ovra, sviluppata attraverso le lettere e l’incontro ginevrino. Nel suo «Personnel File» non vi è infatti traccia alcuna di incarichi in direzione dell’Ovra ricevuti dai servizi segreti inglesi. Vi sono relazioni sulle successive missioni in Messico e in Italia, ma assolutamente nulla circa i suoi contatti con l’Ovra. Un silenzio che perdurò anche dopo la caduta del fascismo e continuò nelle sue memorie, quelle del 1953 e quelle del 1990, in cui non appare alcun cenno dei suoi singolari contatti con l’Ovra. Un fugace accenno egli lo riserva all’incontro ginevrino con l’emissario di Bocchini, ma per far intendere che si trattò di un incontro tentato unilateralmente dall’Ovra per convincerlo a rientrare in Italia, e non, come fu, un incontro da lui sollecitato e preparato con una corrispondenza con l’Ovra durata tre mesi. Max racconta di aver ricevuto «inaspettatamente la visita di una persona che affermava di venire (e non c’era ragione di dubitarne) da parte del capo della polizia». Tutto qui.
Se già nel ’38 egli si era dimesso da Giustizia e Libertà per profondi dissensi con i leader dell’organizzazione, e, come scrive nelle sue memorie, per una sopravvenuta sfiducia verso i metodi di lotta al fascismo usati dai fuorusciti, perché escludere che ciò possa averlo indotto a pensare di poter stipulare una sorta di tregua separata col regime e sondare così la possibilità di un suo rientro in Italia? A conferma dei sondaggi di Max per un rientro in Italia vi è una sua lettera all’Ovra dell’11 febbraio 1941, con cui egli informava il funzionario dell’Ovra di aver scritto, quattro o cinque settimane prima, quindi agli inizi di gennaio del 1941, a Roma, a un suo zio - tale Mario Collina - della «Direzione Generale della Pubblica Sanità, Roma, chiedendogli di informarsi presso il Ministero degli Interni, se era possibile per me rientrare in Italia».
Pur di negare il periodo di crisi e di incertezze di Max Salvadori, si è giunti a far credere che egli, tornato nel giugno del 1940 negli Usa, proseguisse sul territorio americano il proprio impegno nelle file dell’intelligence inglese senza soluzione di continuità. Anche queste affermazioni vengono smentite dai documenti contenuti nel suo fascicolo personale, i quali consentono di accertare che in realtà Max Salvadori negli Usa divenne di nuovo organico al SOE, cioè il ramo operativo dell’intelligence inglese attivo all’estero, solo otto mesi dopo il suo ritorno dall’Inghilterra, cioè nel febbraio 1941.


Fu probabilmente proprio grazie al reclutamento al SOE che Max Salvadori superò questo periodo di incertezze e dette avvio a un’altra fase della sua vita, quella del combattente antifascista deciso e coraggioso, del protagonista della Resistenza e della Liberazione, un ruolo che nessuno, meno che mai il sottoscritto, ha mai inteso contestare.

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