Maxitruffa da 6 milioni di euro all’Asl Rm B

Alessia Marani

Il lupo perde il pelo, non il vizio. Ne sanno qualcosa l’ex dirigente amministrativo della Asl Rm C, Mario Celotto, 59 anni, e il suo fedele «braccio destro», l’ex dipendente amministrativo Paolo Ippopotami, 57 anni, di Guidonia. Arrestati a novembre dai carabinieri del nucleo operativo di via In Selci per avere «dirottato» direttamente dalle casse dell’azienda sanitaria dell’Eur sui conti di prestanome la bellezza di sei milioni di euro (in appena due anni e mezzo d’attività), ieri sono stati raggiunti in carcere da una nuova ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Procura di Roma. Le accuse? Sempre le stesse: truffa pluriaggravata e falso in atto pubblico. Un maxi-imbroglio al sistema sanitario nazionale che in poco tempo, dal ’98 al 2001, ha sottratto all’erario pubblico (ovvero alle tasche dei contribuenti) altri sei milioni di euro attraverso un meccanismo di false fatturazioni e mandati di pagamento effettuati su conti correnti di società fantasma. Questa volta a scoperchiare il «pentolone» di falsi e raggiri ai danni della Asl Rm B (V, VII, VIII e X municipio), gli uomini dello speciale nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, sulle tracce di un gigantesco buco nella sanità locale di Roma e provincia che tra il luglio e l’ottobre scorsi aveva già visto alla sbarra altre tre persone e indagate almeno una decina. Alla Asl Rm B Celotto e Ippopotami avevano prestato servizio, appunto, dal ’98 al 2001. Trasferendosi successivamente da via Meda, al Tiburtino, negli uffici fatture e acquisti di via dell’Arte, all’Eur. «Esportando di fatto - come spiega il maggiore delle Fiamme Gialle, Giovanni Palma - un meccanismo di frode ben collaudato. E che non escludiamo sia stato portato avanti nel tempo anche dalle nuove leve della Asl Rm B. La nostra inchiesta non è affatto conclusa». L’operazione «Salus» prende il via da una segnalazione della banca tesoriera per conto dell’Asl del Tiburtino. A ottobre viene arrestata L. M., 50 anni, impiegata addetta al pagamento delle fatture ai fornitori. In manette finisce anche un suo complice, un disoccupato 57enne di Anzio, sul cui conto corrente finisce in un anno e mezzo una somma da capogiro: circa 1,7 milioni di euro. Soldi che la donna distraeva dal saldo di fatture realmente esistenti, ma sul cui modulo di pagamento erano stati apposti gli estremi delle coordinate bancarie dell’uomo. «Nel caso di Celotto e Ippopotami - proseguono gli inquirenti - il denaro veniva convogliato a una società a responsabilità limitata, formalmente di catering, in realtà una semplice copertura, intestata a tale Massimiliano B., 41 anni, pluripregiudicato per associazione a delinquere legata allo spaccio e alla ricettazione; a fare funzionare l’ingranaggio partecipava anche un’incensurata di 37 anni, Tiziana G., consulente dell’azienda che gestisce il sistema informatico della Asl e, quindi, in possesso delle password per accedere ai programmi di archiviazione e gestione dati. Entrambi sono stati arrestati». Ieri mattina, i berretti verdi hanno bussato alle abitazioni viterbesi dei due, effettuando contemporaneamente un’altra decina di perquisizioni in case di altri dipendenti e in uffici dell’azienda. Tiziana G. ha finto persino di essere incinta per evitare il carcere, ma la sua è risultata solo una gravidanza «isterica» e, dunque, la donna ora si trova a Rebibbia. Per Alessio D’Amato, capogruppo regionale di Ambiente e Lavoro alla Regione, l’inchiesta «conferma un quadro allarmante.

Com’è possibile che non esistano controlli? Che fatture vengano clonate, addirittura pagate dallo Stato più volte? Per i funzionari pubblici coinvolti occorrono punizioni esemplari. Intanto la Regione deve costituirsi parte civile».

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