Milano Ci sono dei nuovi testimoni che accusano Milko Pennisi, il consigliere comunale milanese arrestato giovedì pomeriggio per concussione. Contro l’esponente del Pdl - che si è dimesso sia dal gruppo consiliare che dalla presidenza della commissione urbanistica - non ci sono solo le prove, ormai granitiche, dell’estorsione da diecimila euro ai danni dell’imprenditore bresciano Mario Basso, ma anche altri elementi concreti. Una parte è forse nei file dei computer e delle agende elettroniche che gli investigatori stanno analizzando in queste ore. Ma nelle mani degli inquirenti milanesi, secondo indiscrezioni attendibili, ci sarebbero anche dichiarazioni di persone sentite a verbale, e che fanno sospettare che la tangente - filmata in diretta in entrambe le occasioni in cui è stata versata - su un progetto edilizio nella periferia cittadina non sia l’unico episodio di cui Pennisi si è reso responsabile.
Questa mattina l’arrestato verrà interrogato dal giudice preliminare Simone Luerti, chiamato a convalidare l’arresto in flagranza eseguito nei pressi del municipio meneghino dalla polizia giudiziaria. L’interrogatorio - cui i pubblici ministeri non parteciperanno - verterà unicamente sull’«affare Broglio», dal nome della via alla Bovisa in cui dovrebbe sorgere l’insediamento edilizio approvato dalla commissione urbanistica il 19 novembre, due giorni dopo il versamento da Basso a Pennisi della prima tranche di cinquemila euro.
Su questo episodio Pennisi è ormai reo confesso, e quindi il giudice non potrà fare altro che convalidare l’arresto. Ma la partita vera per Pennisi - e l’impatto effettivo del suo arresto sulla vita politica milanese - si gioca intorno alla domanda che fin dall’inizio gli investigatori si sono fatti: siamo davanti a un caso isolato o a un sistema?
Nel corso del suo primo interrogatorio, subito dopo l’arresto, Pennisi aveva fatto capire (pur senza affermarlo con chiarezza, anche perché era confuso e sotto choc) di essere inciampato al primo tentativo di violare la legge. Una tesi, in astratto, attendibile: ma che si scontra, oltre che con le leggi della statistica, anche con alcuni elementi già agli atti dell’indagine. Non ci sarebbero ancora chiamate in causa dirette, ma piste investigative scaturite da deposizioni tuttora in fase di riscontro. E la posizione processuale di Pennisi potrebbe peggiorare ulteriormente se l’appello informale lanciato dalla Procura inducesse altri imprenditori passati sotto le forche caudine della commissione urbanistica a presentarsi a vuotare il sacco.
Laterale, almeno per ora, si presenta il filone dell’inchiesta che - secondo quanto raccontato ieri dal Corriere della sera - potrebbe costituire un trait d’union tra l’affare Pennisi e l’inchiesta su Vallettopoli, ovvero il mondo dei paparazzi e della città by night. A fare da comune denominatore, l’apparizione nelle carte di Fabrizio «Bicio» Pensa, fotografo specializzato in vip, bonazze e pettegolezzi, divenuto oggi uno dei principali testi d’accusa contro i protagonisti del mercato delle foto.
È stato infatti Pensa a fornire a Mario Basso la microcamera nascosta in un bottone con cui l’imprenditore ha immortalato la consegna al consigliere Pennisi della prima tranche della tangente. Successivamente, secondo quanto riferito dal quotidiano milanese, Pensa avrebbe avanzato richieste economiche a Basso. Ma non risulta che nei suoi confronti sia stata presentata dal costruttore alcuna denuncia.
Nel frattempo, si consuma la brusca fine della carriera politica di Pennisi. Le inequivocabili circostanze dell’arresto hanno fatto sì che l’esponente del Pdl - alle spalle una carriera politica lunga ma sempre di secondo o terzo piano - si ritrovasse isolato all’interno della stessa maggioranza di centrodestra che governa Palazzo Marino. «È meglio che per molto tempo Pennisi non si faccia più vedere in aula», è andato giù piatto il capogruppo della Lega Nord in Comune, Matteo Salvini.
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