«McLaren e Ferrari unite Così la F1 avrà un futuro»

Martin Whitmarsh è un elegante ed educatissimo inglese di 53 anni. Un ingegnere cresciuto nell’industria aerospaziale, affabile nei modi, deciso nel comando, liberale nella gestione dei piloti, politico nei rapporti. È il gran capo della McLaren e il presidente dell’associazione dei team di F1. Sua la lettera dell’altro giorno con cui ha serenamente comunicato alla Fia e ad Ecclestone che no, i team non intendono recuperare quest’anno il Gp del Bahrein saltato per i noti disordini nell’isola e che Mr. Bernie aveva reintrodotto per fine anno. Detto e fatto, e probabilmente non si disputerà. Serenamente.
Mister Whitmarsh, la McLaren, alla vigilia del primo Gp, non andava. L’avete cambiata in corsa ed ora è una scheggia. È proprio ciò che sognano di fare adesso i ferraristi.
«Vero, dovevano essere piccole modifiche, poi ci siamo guardati e abbiamo pensato: forse vale la pena rischiare. E così abbiamo introdotto cambiamenti radicali».
La Ferrari ha rivoluzionato il vertice dello staff tecnico. Adesso un vostro ex, Pat Fry, è il direttore tecnico. Non teme che la Rossa faccia altre «compere»?
«Diciamo che è molto attiva sul mercato degli ingegneri. E che dei nostri ex sono già da loro. Diciamo anche che nostri ex sono altrove, penso alla Mercedes. È normale che gli uomini di un top team siano corteggiati e, anzi, inizierei a preoccuparmi se all’improvviso nessuno cercasse più i nostri tecnici... Vorrebbe dire che stiamo lavorando male».
Non trova che Alonso, anche lui ex McLaren, stia provando a ripetere quanto riuscito a Schumacher in Ferrari? Circondarsi di tecnici di fiducia: Michael lo fece con Ross Brawn, Fernando ci prova con Fry.
«Fernando è un ragazzo incredibilmente competitivo e sono certo che voglia costruire attorno a sé un gruppo forte. E quando ha lavorato con noi ha conosciuto diverse persone... È naturale che agisca così».
Si dice che la Ferrari sia la storia della F1. Anche la McLaren non scherza: sono 45 anni di corse...
«E infatti c’è grande rispetto tra McLaren e Ferrari. Siamo le due squadre che hanno corso di più, che hanno vinto di più, che hanno più tifosi nel mondo...».
E che hanno litigato di più...
«Quella è stata una brutta fase per entrambi. Una guerra durata troppo a lungo. Per fortuna negli ultimi due anni abbiamo compreso che così non andava, che avevamo e abbiamo molti interessi in comune, che era giusto lavorare assieme perché il nostro corebusiness è lo stesso: la passione per la F1».
Ci eravamo tanto odiati e adesso scoppia l’amore... c’è chi non ci crede.
«So che molti si sono sorpresi nel vederci così uniti, ma la verità è che McLaren e Ferrari vedono le cose in modo molto simile: noi vogliamo batterli in pista e così loro ma, al di là di questo, sappiamo che dimostrando alle altre squadre la nostra leadership, contribuiamo a mantenere l’armonia in questo sport. Suvvia, siamo i due team che non appena le cose vanno un po’ meno bene vengono subito criticati... penso, ad esempio, ai momenti difficili che sta vivendo adesso la Ferrari in Italia. E così può succedere a noi anche se la McLaren, dal 1966 ad oggi, ha vinto il 25% delle corse a cui ha partecipato, per più del 50% delle gare è sempre andata a podio, negli ultimi sei anni ha fatto più punti di tutti... È normale per noi, come per la Ferrari, avere sempre una enorme pressione addosso».
Tutto questo per dire che una F1 senza McLaren e Ferrari non potrebbe esistere?
«Verrebbe molto sminuita perché in due rappresentiamo la storia delle corse e una lunga rivalità che da aggressiva è diventata fraterna con il comune obiettivo di far crescere la F1. Anche perché sia noi che la Ferrari non abbiamo fatto abbastanza per i tifosi e per lo spettacolo, per cui dobbiamo tutti lavorare sodo per migliorare questo sport».
E i potenziali nuovi acquirenti del Circus (Exor, Newsco, ndr)?
«È positivo se altra gente vuole investire in F1, è un processo che va incoraggiato, ovviamente rispettando gli attuali partner».
E diventare voi stessi azionisti del vostro sport?
«Ciò che conta è non trovarsi ogni due o tre anni davanti a negoziazioni commerciali (diritti tv, etc, ndr). E comunque, per fare un esempio: se un team fosse parzialmente coinvolto nella proprietà della F1, gioverebbe alla stabilità perché resterebbe coinvolto a lungo nel Circus».
Le piacciono le nuove regole?
«Vede, l’associazione dei team, la Fota che presiedo, a suo tempo ha chiesto una ricerca per capire che cosa volessero vedere i fan di F1. I risultati hanno detto: più sorpassi. Da qui le modifiche di quest’anno (ali mobili, kers, gomme). E in effetti ora i Gp sono più movimentati... ne abbiamo visti di fantastici».
Però ormai è come se nel calcio i gol fossero frequenti quanto i canestri nel basket... Non c’è il pericolo di snaturare la F1?
«Potrebbe esserci. Io stesso non ero così convinto dell’importanza dei sorpassi, ma sarebbe stato arrogante non tenere conto di migliaia di risposte. E comunque, nel caso, si può sempre intervenire sulle regole... Però adesso non mi sembrano troppi».
La grande differenza fra i suoi piloti, Button ed Hamilton?
«Jenson è stato forgiato dai momenti duri, Lewis ha subito avuto addosso molta pressione.

Sono due ragazzi che si piacciono, si rispettano, si sfidano, imparano l’uno dall’altro e, come Ferrari e McLaren, vogliono battersi ogni domenica. Per me, come capo, è difficile gestire una simile rivalità: però io voglio che facciano così, anche se so che qualcosa può sempre andare storto... Ma sono ragazzi intelligenti, sanno spingersi fino al giusto limite».

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