Mentre a Roma regnava Tarquinio Prisco, il supremo potere dei celti era nelle mani dei biturigi con a capo re Ambigato, uomo assai potente per valore e ricchezza. Costui, già in età avanzata, desiderando liberare il suo regno dal peso di una eccessiva popolazione, lasciò andare i nipoti Belloveso e Segoveso, figli di sua sorella, giovani animosi, in quelle sedi che gli dèi indicarono con gli àuguri. E a Belloveso gli dèi additarono una via allettante, quella verso lItalia». Inizia così nella Storia di Roma (V, 34) di Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) la storia di Milano, figlia di un sovrappopolamento celtico in Gallia e dellazione del «giovane animoso» Belloveso, nipote del gran re Ambigato.
Sempre secondo Livio, Belloveso guidò quanti vollero seguirlo - vale a dire «il sovrappiù dei biturigi, averni, edui, ambani, carnuti, aulerci», tutti popoli celti - verso il sud della Gallia, sul Mediterraneo. Li condusse poi ad affrontare le Alpi per «passare in un altro mondo» cioè appunto entrare in Italia, vista non solo come meta di un viaggio storico ma anche come destino sacro. Giacché quei celti portavano con sé una secolare tradizione religiosa e sacrale fatta di politeismo terrigno e coordinate astrali, sotto locchio accigliato dei druidi, i sacerdoti «che conoscono la quercia», pianta sacra in varie culture.
E proprio di senso sacrale si ammantò la loro prima impresa pacifica in terra italica - o meglio insubrica, dal nome della popolazione che già risiedeva nella nostra Valle Padana - ovvero la fondazione di Mediolanum. Secondo Livio, infatti, dopo aver superato «i monti Taurini e la valle della Dora», Belloveso e i suoi sconfissero in battaglia i tusci - cioè gli etruschi - e «vi fondarono una città che chiamarono Mediolanum». Ma qual è il suo significato esatto? Diverse interpretazioni sono state avanzate circa letimo di Milano, da quella più semplice di «città posta al centro» di una piana a quella più articolata che lo connette a una «scrofa lanuta» (medio lanae) simbolo di una divinità celtica e che i druidi di Belloveso avrebbero trovato sul luogo e. Da qualche tempo è stata però avanzata unaltra interpretazione che fa derivare il nome di Milano dal celtico Medhelanon ovvero «santuario che si trova al centro», da medhe («centro») e lanon («santuario»). Tracce di questo significato si avrebbero forse ancora in alcuni toponimi gaelici attuali come llan («chiesa») e llawn («perfezione»), nonché nel sanscrito madhya-lan («terra sacra del mezzo»).
Se così fosse, la fondazione bellovesiana non sarebbe stata una «città», come voleva Livio, ma un centro sacro. Un errore dello storico romano? Non necessariamente: attingendo a fonti a lui contemporanee, Livio poté forse operare una semplice reductio ad unum, ovvero parlare solo della «città» come era effettivamente Mediolanum ai suoi tempi, tralasciando - anche per semplice ignoranza della cosa, visto che egli non propone alcuna etimologia del nome - la fondazione sacrale, che peraltro risaliva allepoca di re Tarquinio Prisco (616-579 a.C.). Insomma il santuario si sarebbe evoluto in città, posta comera del resto - e appunto - al centro di una fitta rete viaria e commerciale che univa il centro e il nord della penisola, come lest e lovest.
Così ipotizzando, ci si deve chiedere: cosera un Medhelanon? Nella religione celtica si trattava di un bosco sacro inteso come «centro di perfezione», uno dei luoghi druidici caratterizzato dalla sua posizione geo-astrale. I Medhelanon - in Europa se ne conservano le tracce di circa 250 - erano infatti innalzati al centro di varie coordinate terrestri e stellari e vi confluivano i druidi e la popolazione in particolari momenti celebrativi. Ne era esempio il ver sacrum, cioè la «primavera sacra» dei celti di cui parla un altro scrittore latino del I sec. a.C., Pompeo Trogo; un rito ancestrale di origine indo-europea, dapprima cruento con il sacrificio delle primizie umane e animali, poi mitigato. Se così è, dove sorgeva dunque il Medhelanon «mediolanense»? Secondo alcuni, nella zona intorno alla Scala, evidentemente deputata da sempre a dar spettacolo.
Sono questi, con molti altri, gli elementi al centro di ricerche sempre più fitte che vengono ora messe in mostra al Castello Sforzesco, dove a lavori di livello accademico si affiancheranno laboratori sperimentali orientati alla didattica e alla divulgazione, insieme ad attività di reenactment, volte cioè a far «rivivere» la cultura materiale (e non solo) dei celti. Di certo, il paziente lavoro di storici, archeologi (e astronomi...) può aiutarci a sottrarre sempre più il passato remoto di Milano dalla luce del mito, per giungere al sapore della storia.
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