MEDIA E POLITICA

I soldi veri, sostiene chi lo conosce bene, continua a farli con le case. I libri, più che altro, li usa per darsi un tono. Una nuance, come si dice. Sul viola.
Immobiliarista di lungo corso ed editore di recente conio, Francesco Aliberti paga dazio a quest’epoca di scarse letture e ancor più spente intellighentie. Fosse vissuto una generazione fa, e avesse lavorato a Milano, sarebbe stato Feltrinelli. Appartenendo a quella di un quarantenne, e vivendo a Reggio Emilia, può essere solo Aliberti.
Feltrinelli era un ricco borghese impegnato nella rivoluzione comunista che coi libri faceva prima di tutto politica, e incidentalmente parecchio denaro. Aliberti è un rampante imprenditore disimpegnato che cerca in ogni modo di fare soldi, cavalcando opportunisticamente la politica. Che dal punto di vista editoriale, in questi momenti di crisi, segue l’onda lunga dell’antiberlusconismo, dei «No Cav Day» riempi-piazze e salva-bilanci, del «travaglismo» inteso come fenomeno economico più che politico. Libri che non spostano voti ma macinano soldi. E fu così che Francesco «Frank» Aliberti, palazzinaro rampante in quel di Reggio Emilia, Reggio la «Rossa», diventò coeditore del Fatto Quotidiano di Antonio Padellaro e Marco Travaglio. Ma anche - non si sa mai come vanno le cose in politica - socio della Contenuti Digitali srl che edita il quotidiano digitale Reggio24Ore. Foglio apolitico, ma solido.
Classe 1969, una prestigiosa laurea in Italianistica con Ezio Raimondi conseguita all’Università degli Studi di Bologna e un’avviata Agenzia di intermediazione immobiliare registrata presso la Camera di commercio di Reggio Emilia, oltre che lettore onnivoro ed elettore di sinistra, Francesco Aliberti fondò l’omonima casa editrice nel vicino 2001. Inizialmente pubblicava di tutto, e di tutti, senza alcuna preclusione di generi, titoli o colore politico. Fece un discreto colpo, nel 2003, con un romanzo inedito di fantascienza di Giorgio Scerbanenco, per dire. Poi nel catalogo entrarono biografie, libri-inchiesta, libri-intervista e anche tanti instant book, detti anche libri «stampa-e-getta»: se vuoi fare soldi, nell’editoria di questi tempi, meglio farli subito. Intanto il giovane tycoon spostava la sede legale e politica dell’azienda a Piazza del Popolo a Roma, mantenendo la divisione cinemascope e audiovisivi nel palazzo «di famiglia» di via Meuccio Ruini a Reggio. Esempio perfetto di glocalismo multimediale.
Passione smisurata per la cultura e orientamento generalista per i libri, Aliberti col tempo si è portato in casa editrice parecchi vip dei salotti chic, come Maurizio Costanzo, come Roberto Cotroneo, o Alberto Fortis, o Marco Presta, o Umberto Tozzi, o Enrico Vaime, addirittura un gigante come Claudio Sabelli Fioretti, persino il potentissimo Pier Luigi Celli, per un libro del quale, nel 2008, l’editore corrispose i diritti non in denaro, ma in bottiglie di Lambrusco. Del suocero, notissimo viticoltore della zona. Del resto, già Giulio Einaudi pagava gli autori con i prodotti dei poderi di Dogliani e Barolo... La vera cultura non ha prezzo.
Poi, dopo i libri-intervista ad Alessandra Mussolini Se ci fosse ancora Lui e al ministro Sandro Bondi su di Lui, dopo i libri di Cossiga e quello imperdibile - Stelle a destra - di Mara Carfagna (ormai siamo a circa cento titoli all’anno, si stampa tutto), ecco la scelta azionista che porta Aliberti a diventare socio della «Editoriale Il Fatto s.p.a» di Padellaro, Travaglio&Co. In sospetta concomitanza con la deriva editoriale antiberlusconiana. Ad esempio: le memorie della geisha Patrizia D’Addardo Gradisca, presidente («Il libro della D’Addario vale centomila copie», dichiarò al momento del lancio Francesco Aliberti; a Natale se ne sono contate appena un paio di migliaia vendute... a conferma del fatto che un conto è costruire case, un altro vendere libri), poi il poema Berlusconeide con le vignette di Vauro, la biografia «non autorizzata» del Cavaliere firmata da Paolo Guzzanti, il libro-rivelazione su Il caso Genchi scritto da Edoardo Montolli e certificato da Marco Travaglio, fino al recente instant-book dal titolo e dal colore Viola di Federico Mello, già giornalista di Annozero e attualmente del Fatto Quotidiano su - come recita il sottotitolo - «L’incredibile storia del No B Day. La manifestazione che ha beffato Silvio Berlusconi». E il sogno d’oro dell’editore rosso si tinse di viola. Anche se, come malignano gli scettici, l’editore Francesco Aliberti, in barba alla memoria di Feltrinelli, più che alla rivoluzione sociale sembra preoccupato del capitale societario. Intuito un vuoto del mercato, ci si è buttato. Il colore dei soldi, notoriamente, non è né il rosso né il viola.
«Il ruolo dell’editore è quello del mediatore, dell’intermediario. Non del giudice censore.

Bisogna dare al lettore ciò che chiede», ha detto una volta. Concetto sintetizzato nello slogan della maison Aliberti: «Andiamo dove vanno i lettori». Che solo per caso, ultimamente, coincidono sempre con gli stessi elettori.

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