Milano Bastano le facce, quando si apre la porta della stanza al settimo piano del palazzo di giustizia, per capire che lì dentro si è consumato qualcosa di inatteso e clamoroso. Il giudice preliminare Maria Vicidomini ha appena finito di leggere la sua decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla Procura a carico di Silvio Berlusconi e di altri undici imputati per laffare Mediatrade. E ha assolto Silvio Berlusconi con formula piena «per non avere commesso il fatto».
Certo, per la Procura nella parte piena del bicchiere cè il rinvio a giudizio di tutti gli altri imputati, tra cui Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi, che sta a significare che il giudice si è convinta che nelle operazioni di acquisto dei film americani da trasmettere sulle reti Mediaset sono stati commessi degli illeciti. Per laccusa non è una gran consolazione. E lo racconta meglio di tutto la faccia scura (per usare un eufemismo) con cui lascia laula il pm Fabio De Pasquale, che su questa inchiesta ha investito anni di lavoro, e che visibilmente non si aspettava che il principale imputato gli sfuggisse di mano prima ancora del processo.
«Faremo ricorso in Cassazione», fa sapere quasi subito De Pasquale, per rimarcare che la sconfitta di ieri non chiude definitivamente la partita. Ma intanto arriva il commento di Berlusconi: «Adesso tutti - dice il presidente del Consiglio, conversando con i cronisti - mi chiedono se sono soddisfatto. Sono insoddisfatto del fatto di essere stato accusato di una cosa che non stava né in cielo né in terra. È il venticinquesimo processo in cui sono assolto. Il grande scandalo è che i pm hanno portato contro di me delle accuse che i loro stessi colleghi hanno deciso essere infondate». Gli fa eco il suo legale, Niccolò Ghedini: che ammette di essere stato colto di sorpresa dalla sentenza, «ma semplicemente perché è una forma di disabitudine a causa di quel che succede a Milano».
Laccusa di frode fiscale e appropriazione indebita era riferita a circa 34 milioni di dollari che sarebbero stati sottratti - gonfiando il prezzo dei film della Paramount e di altre major - dai bilanci di Mediaset e dirottati sui conti personali di Berlusconi e dei suoi familiari: con il duplice risultato di danneggiare sia lazienda che il fisco. Si tratta di operazioni avvenute secondo la Procura dal 2000 al 2006, quando Berlusconi non ricopriva più da tempo cariche dirigenziali nellazienda. Ma nella richiesta di rinvio a giudizio il presidente del Consiglio era comunque chiamato in causa «quale azionista di riferimento, azionista di maggioranza (tramite Fininvest) e titolare di poteri di fatto sulla gestione di Mediaset spa». E qui, verosimilmente, si è arenato il processo al premier: perché il dispositivo della sentenza lascia capire che il giudice ha ritenuto non provati quei «poteri di fatto» teorizzati dalla Procura, ovvero il coinvolgimento diretto e personale di Berlusconi nelle scelte commerciali, fiscali e contabili del suo gruppo.
Per tutti gli altri undici imputati il processo comincerà il 22 dicembre. A venire giudicati saranno - insieme a dirigenti, consulenti ed ex consulenti di Mediaset, e al grossista di diritti Frank Agrama - anche Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi, i cui ruoli operativi (sono rispettivamente presidente e vicepresidente del gruppo) hanno convinto il giudice Vicidomini del loro coinvolgimento nelle operazioni di acquisto: anche se il difensore di Berlusconi junior, Filippo Dinacci, sostiene ieri che lassoluzione del presidente del Consiglio «va a colpire lintero impianto accusatorio».
Tra una trentina di giorni si conosceranno le motivazioni della sentenza, e sarà una lettura interessante perché per accuse praticamente identiche anche se relative ad anni precedenti, Silvio Berlusconi è già stato rinviato a giudizio da un altro giudice preliminare, ed è attualmente sotto processo davanti al tribunale di Milano.
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