Il medico giramondo che cura i bimbi del Vietnam

«Mi sono fermato ad Hanoi dopo aver conosciuto mia moglie in un atterraggio di fortuna»

Pugno chiuso e pollice in su, Enzo Falcone ha cominciato a viaggiare così da ragazzo, facendo l’autostop. «Già allora non avevo dubbi: il mio futuro era all’estero». E ancora: «Fin da bambino ho sempre saputo che sarei diventato medico», ma non un dottore qualunque, «ero certo di voler esercitare la mia professione nei paesi in via di sviluppo».
Detto e fatto, nel 1988 Enzo si è laureato in medicina presso l’università degli studi di Milano e dopo un paio di anni trascorsi «a impratichirmi» negli ospedali cittadini «mi sono sentito pronto per partire». Prima missione: Guinea Bissau, «per conto del ministero degli Esteri». Di quel primo impiego, Enzo ricorda ancora «l’incredibile ospitalità della popolazione» e «quei sorrisi, che non si dimenticano perché di così luminosi, da noi, è difficile vederne». Tre anni in Africa, «a salvare vite umane con soli venti centesimi»: malaria, infezioni respiratorie, diarrea. «Scordiamoci i farmaci di ultima generazione, lì bastano i generici per fare la differenza», spiega.
Dalla Guinea al Vietnam, «dovevo trasferirmi per una breve missione e invece, non me ne sono più andato». Tutta colpa di un’avaria in alta quota che, letteralmente, gli ha fatto girare la testa. «Dovevamo fare scalo a Parigi prima di raggiungere Hanoi, ma arrivati sopra il cielo della capitale francese ci hanno detto che avremmo dovuto fare un atterraggio di fortuna perché c’era un guasto ai motori». Panico e svenimenti: «Alcuni passeggeri sembravano impazziti e così mi sono offerto di aiutarli per quel che potevo». Tra questi c’era anche Tam, una giovane imprenditrice vietnamita che «dopo tre mesi, era già diventata mia moglie». Ha lavorato al confine con la Cina dopo il matrimonio, «mentre Tam ha continuato la sua attività: era giusto che ognuno seguisse la sua vocazione». E però poi il destino li ha uniti anche nel lavoro, «ancora una volta, inaspettatamente». Tutta colpa dell’uragano Linda, stavolta. Era il 1996 quando si abbattè sul Sud Est asiatico, mettendolo in ginocchio. «Io stavo lavorando con il governo belga e Tam mi ha aiutato a organizzare i soccorsi e da lì ha lasciato il mondo dell’imprenditoria per quello umanitario». Dopo un periodo con i Medici senza frontiere e un altro con l’Unicef, hanno deciso di fondare Care the people, un’associazione con sede a Danang. L’obiettivo: «curare i malati, ma non solo. Vogliamo prenderci cura di loro perché non ha senso che io aiuti un diabetico se poi so già che non avrà i soldi per pagarsi l’insulina».

Dall’Italia, «una rete di volontari ci aiuta a raccogliere i fondi e a risolvere i problemi logistici», in Vietnam, «abbiamo già costruito un centro cottura che prepara 300 pasti al giorno da consegnare a domicilio, una mensa e una serie di case per i poveri che siamo riusciti a costruire con al massimo 1.500 euro». Soddisfatti? «Sì, ma siamo solo all’inizio. Vogliamo portare il numero dei pasti a mille e costruire un centro residenziale per i bambini che possono essere aiutati attraverso le adozioni a distanza».

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