Il Medio Oriente è cambiato mentre Osama Bin Laden era rinchiuso in un bunker segreto in Pakistan e le piazze che avevano esultato per l'11 settembre sono rimaste indifferenti alla notizia dell'uccisione del saudita.
Negli ultimi anni, la figura del barone del terrorismo aveva perso rilevanza nelle strade arabe. Per un certo periodo, spiega l'esperto Issandr al Amrani sul suo blog, Bin Laden era stato percepito dalle masse arabe come un simbolo di resistenza all'America e all'Occidente. Con il tempo ha perso importanza. Ed è diventato «particolarmente irrilevante» durante le recenti rivoluzioni in Tunisia, Egitto, Yemen, Bahrein, Libia e Siria, dove la popolazione è scesa in strada per chiedere democrazia e migliori condizioni sociali e non l'imposizione della la legge coranica.
Un sondaggio condotto nei mesi passati dal Pew Research Center mostra che il sostegno per il capo di Al Qaida è crollato nella regione. Nel 2003, il 56% dei giordani diceva di appoggiare Bin Laden. Oggi il dato è sceso a 13%. Nei Territori palestinesi la percentuale si è abbassata dal 72 al 34%.
Per alcuni analisti, in gran parte del mondo arabo esiste anche un senso di sollievo per la morte di un uomo che ha utilizzato l'islam come bandiera di una sanguinosa guerra. Da una parte Paesi come la Giordania, l'Arabia Saudita e l'Irak sono stati obiettivo di attacchi. Dall'altra, regimi autoritari come Egitto e Libia hanno utlizzato per anni lo spettro di Al Qaida per giustificare il loro potere con il mantra del «minore dei mali».
I Paesi che in questi mesi sono stati protagonisti di rivolte contro antichi regimi sembrano aver ricevuto la notizia con indifferenza. L'Indepedent racconta come i ribelli libici impegnati a combattere sul fronte, giovani disoccupati e frustrati, reclute perfette per la guerra santa di Bin Laden, abbiano reagito con poco interesse alla notizia: «Per me Osama non è importante, non è il mio problema», ha detto uno di loro al giornale inglese. Il portavoce militare dei ribelli di Benghazi, Ahmed Bani, ha dichiarato: «Sarebbe un grande regalo se gli Stati Uniti uccidessero anche Gheddafi». Secondo la Radio pubblica americana, NPR, persino nella città natale di Bin Laden, Jeddah, in Arabia Saudita, le reazioni alla notizia sono state minime. Riad aveva cancellato la cittadinanza del terrorista nel 1994 e il Paese gli ha rifiutato sepoltura. La monarchia dei Saud ha commentato freddamente l'uccisione, con un comunicato affidato all'agenzia di stampa nazionale: spera che la morte di Bin Laden sia «un passo che sostenga gli sforzi internazionali contro il terrorismo».
I giovani delle rivoluzioni arabe si sono divisi nei forum online sulla questione: cè chi si rammarica che ora mancherà qualcuno per contrastare l'America, c'è chi esulta per la morte di un sanguinario. Osama Bin Laden sembra essere già una notizia del passato. «E' soltanto un cattivo ricordo, la regione è andata avanti», ha detto al New York Times Radwan Sayyid, professore di studi islamici in Libano. Prevale l'interesse per il complicato presente. Wael Ghonim, l'ex manager di Google diventato icona della rivolta egiziana, scrive su Twitter: Il 2011 rimarrà nella storia. E' soltanto maggio ed è accaduto tutto questo: Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Siria e ora OBL. Ma c'è nella regione chi ha pianto la morte del terrorista. Il gruppo islamista palestinese Hamas, a Gaza, ha condannato la morte di Bin Laden, definendolo «un santo guerriero arabo». L'Iran ha detto che ora l'America non avrà più nessuna scusa per rimanere in Afghanistan e Irak. Lo stesso hanno dichiarato i Fratelli musulmani dall'Egitto, che hanno condannato la morte del terrorista, spiegando che Washington avrebbe dovuto processarlo.
Ambiguo invece il silenzio delle nuove autorità egiziane, che hanno rifiutato di commentare.
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