Mediobanca accelera in Africa Ben Ammar: la Tunisia a marzo

La campagna d’Africa di Mediobanca sta per incominciare: la controllata tunisina, con cui Piazzetta Cuccia conta di fare affari nell’intero Maghreb, sarà operativa entro «i primi tre mesi» di quest’anno. In tempo, quindi, per il compleanno del finanziere Vincent Bollorè che è nato il primo di aprile e come l’imprenditore cinematografico Tarak Ben Ammar ha molteplici interessi in Italia e siede nel consiglio della merchant bank milanese. A confermare la tempistica dell’espansione a sud del Mediterraneo di Mediobanca è stato Ben Ammar di casa a Tunisi e «incaricato» dall’ad Alberto Nagel della gestazione del progetto. La nuova banca d’affari, attiva nella gestione del risparmio e nel private banking, rafforzerà i ricavi esteri dell’istituto milanese, oggi pari a circa il 25% della corporate & investment banking. Il passo africano sancisce la volontà di Nagel di imprimere a Mediobanca un passo internazionale grazie agli avamposti di Londra, Parigi, Francoforte, Madrid, all’ufficio di Mosca e a quello di New York. La stessa strada che ha permesso al gruppo di chiudere il primo trimestre 2010-2011 con utili superiori alle attese degli analisti.
Milano avrà il 33% della controllata tunisina ma insieme a Ben Ammar, a sua volta titolare del 3%, avrà il «diritto di veto assoluto» sulle strategie. Il resto delle azioni sarà ripartito tra alcuni industriali locali (33%), la banca franco-algerina Bia, il Qatar, e ancora una volta la Libia del Colonnello Gheddafi (5%), oltre a un gruppo di investitori medio-orientali (10%). Tripoli è infatti anche il primo socio di Unicredit che, a sua volta, è grande azionista di Mediobanca. «Per la prima volta in Tunisia una banca avrà la licenza per operare anche in valuta straniera - ha detto Ben Ammar -. Vogliamo fare sviluppo economico, seguire le privatizzazioni perché non siano solo le banche anglo-americane a fare consulenza». Partirà con un capitale di 20 milioni di euro, «piccolo ma l’obiettivo è quello di crescere. Aiuterà le società nazionali a svilupparsi, perché no, con le aziende italiane». Con notevole anticipo rispetto alla scadenza, l’imprenditore franco-tunisino che è «vicino» ai grandi soci d’oltralpe di Mediobanca si è poi speso a favore del rinnovo dell’accordo parasociale dopo il 2011: «Ai soci che partecipano basta ricevere i dividendi, non vedo perché dovrebbero andarsene». E ha provato a spegnere le polemiche sulla scalata con cui i libici sono giunti al 7,6% di Unicredit scavalcando le Fondazioni italiane: «Penso che si fermeranno lì, lo hanno già dichiarato. Si è fatto molto rumore per nulla». Consob sta indagando e Tripoli rischia di vedersi congelare i diritti di voto.

Deposto il cappello del mondo bancario, Ben Ammar ha indossato quello di Telecom per intervenire sulla mancata azione di responsabilità verso la gestione dell’era Pirelli. Il cda, ha deciso di non procedere perché «non c’era materia di contendere». «Ho letto sui giornali di un “papocchio“ con Tronchetti. Tutte falsità».

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