Meglio «frullati» da un Dj che dimenticati da tutti

Il primo vero boom mondiale è stato con il remix di A Little Less Conversation di Elvis Presley, opera del dj olandese Junkie XL, correva l’anno 2002. Il ripescaggio della traccia originale registrata da «The Pelvis» opportunamente shakerata finì in vetta alle classifiche di venti paesi. Quest’anno invece il botto l’hanno fatto due dj australiani noti come Yolanda Be Cool (al secolo Sylvester Martinez e Johnson Peterson). Hanno ripescato il mitico e immortale Renato Carosone e la sua Tu vuo’ fa’ l’americano e, a colpi di campionatura, ne hanno tirato fuori la molto più sincopata We no speak americano. E in un attimo è diventata tormentone. È finita ai primi posti della classifica in undici paesi. E a farle buona compagnia c’è Why Don’t You, altro remix firmato dal dj serbo Gramophonedzie (al secolo Marco Milicevic) tratta da un brano anni Trenta di uno dei mostri sacri del blues, Kansas Joe McCoy. Insomma il meccanismo funziona e i titoli si sprecano: c’è chi ha remixato i Led Zeppelin, chi i Nomadi e in Inghilterra tutti ballano le canzoni campionate dalla Dj Wiley che pesca a man bassa dagli anni Trenta e Quaranta. E senza scomodare il «sacrilegio» del rapper Common che ha campionato Don’t Let Me Be Misunderstood nella versione di Nina Simone è inutile dire che la critica, a differenza del pubblico, spara a pallettoni su questo tipo di operazione. Tanto per dire, Fraser McAlpine - uno che detta la linea della BBC - ha fatto a pezzi Why Don’t You e tutti i remix come questo: «Pigliano una vecchia canzone e la colpiscono con una grossa mazza sino a che non finisce in un milione di pezzi, poi li rimettono insieme usando dei micro robot e gli danno una bella spruzzata di vernice dorata».
Per carità, tutto sacrosanto e filologico. Però con la filologia si finisce a prender polvere in un museo sotto una pila di altre gloriose copertine. Insomma si entra nel tristo mausoleo delle belle canzoni morte, ascoltate da trecento dotti cultori mentre il resto del mondo va in discoteca per gli affari suoi. Invece gli strambi Yolanda Be Cool hanno riportato Carosone dove la gente balla. E capita di beccare in Rete ragazzini quindicenni di Aberdeen (città scozzese portuale e bruttarella) che discettano con cognizione di causa di un cantante napoletano (di cui sono andati a ripescarsi su YouTube anche le canzoni originali). Un signore che era famoso quarant’anni prima della loro nascita, e non certo ad Aberdeen. Lo stesso si può dire per Nina Simone e Lil Green (la prima vocalist che cantò Why Don’t You Do Right). Insomma quello che per gli ortodossi è sacrilegio è anche l’unico modo di riportare il popolo che danza sui sentieri di note della musica «alta» (che prima di essere «alta» è stata robaccia degenerata cantata da negri e svillaneggiata dai critici). Volendo è anche la prova che certe genialità sonore anche se frullate e sminuzzate restano genialità. Figurarsi poi se uno come Carosone che voleva che alla Bussola tutti sgambettassero come matti, nella bella nuvoletta su cui si trova, mette il muso. Direbbe a McAlpine: «Ma pigliate ’na pastiglia e va’ a balla’».

E con questo non si vuol dire che il remix sia il meglio del meglio, una gioia per gli orecchi più fini, ma è una porta che collega i teen-agers con quei salotti ovattati dove girano ancora i vinili, salotti in cui a Elvis sarebbe venuta l’orticaria. Non è poco. E, tra parentesi, è ovviamente anche una gran furbata commerciale. Ma non è che McCoy ai suoi tempi fosse proprio un bamba.

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