Meglio i voti dei giudizi Un 4 o 5, se non altro, non creano confusione

Carissimo Direttore,
sì, è vero, come scrive Marcello D’Orta sul Giornale «anche per il maestro Manzi la sufficienza era il 6», e questo rende merito al ministro Gelmini un’opera di semplificazione che favorisce la comunicazione della valutazione con cui un insegnante giudica una prova. Con i voti tutto è più chiaro, il cinque è cinque, il sei è sei, il dieci è dieci! Anche per il maestro Manzi però il voto è solo uno strumento di un rapporto educativo, ed è questo il problema serio della scuola oggi. Con i voti si semplifica, e finalmente si porta più allo scoperto ciò che tante parole hanno nascosto per anni, ossia che il voto è una convenzione sociale, nulla più, ed è relativo al percorso che uno studente sta facendo. Mi spiace per chi ancora si illude, ma cinque, sei, sette, otto hanno lo stesso valore di affermazioni del tipo «veleggia verso la sufficienza» o «conosce gli argomenti, ma non si sa contestualizzare», ossia sono strumenti di un cammino educativo, che ha bisogno di essere puntualizzato, ma è di più, molto di più della sua espressione numerica! Per questo ben venga il ritorno del voto, perché più chiaro di certe sbrodolature che non hanno alcun senso, ma non come un feticcio, non come il terminale di un percorso. Perché a scuola non si va né per dare voti, né per riceverli, ma per quella passione di conoscenza che lancia insegnanti e studenti all’attacco del reale.

Ma sì, caro Mereghetti, bentornati voti. I giudizi sono confusi, come spiegava qualche tempo fa il ministro Tremonti. «Ha ottime capacità di socializzazione», per esempio, che cosa vuol dire? Che fa copiare i compiti ai compagni? Che si è fatto la ragazza in classe? E «collaborativo con i docenti»? Significa che non esita a fare la spia? «Molto precoce per la sua età»: cioè fuma come un turco e beve alcolici? «Molto attento all’informazione»: legge a scuola la Gazzetta dello Sport? Non è un caso se tutti i fenomeni significativi sono misurati con numeri: il terremoto è misurato con i gradi della scala Mercalli o Richter; il moto marino in base alla scala numerica della forza; la pendenza di una parete in base ai gradi. Quando vi controllate la febbre volete sapere se avete 37, 38 o 40: come reagireste se il termometro vi dicesse «conosce un certo calore che si avvia tendenzialmente verso la progressiva gravità»? Quando andate in auto volete sapere la velocità: come reagireste se il tachimetro vi dicesse «andate a una media andatura che con le dovute cautele potrebbe essere ancora parzialmente accelerata»? Suvvia, ve ne rendete conto: il voto è netto, preciso, diretto. Il giudizio invece è bizantino, crea incertezza, sembra fatto apposta per mandare i genitori in confusione oppure, come spesso accade, direttamente al Tar per fare causa contro la bocciatura. Se uno prende 4 o 5, il messaggio arriva chiaro. Se uno prende «la preparazione potrebbe evolversi per raggiungere gradi adeguati alla maturazione dell’intera classe», che vuol dire? Lei ha ragione: il voto non è tutto, non è l’obiettivo del percorso scolastico, è solo uno strumento per raggiungere la meta, che è la conoscenza.

Ma per trasmettere conoscenza occorrono ordine, disciplina, chiarezza, autorità: tutte cose che mal si conciliano con il giudizio che in effetti si muove nel terreno del «detto non detto», dell’ambiguità, dell’interpretazione all’incirca e dunque dell’irresponsabilità. Tanto per dire: se uno prende «ha delle doti ma le usa solo in fase difensiva» e «dovrebbe partecipare di più al lavoro di gruppo», come si fa a fare la media matematica? Con una partita a football?

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