Meglio le scuole miste Educano alla vita vera

Le cosiddette classi miste, quando furono introdotte, vennero salutate come un decisivo passo per l’emancipazione educativa dei giovani, libera finalmente da steccati e pregiudizi sessisti. Allora era un entusiasmo eccessivo, mentre invocare oggi una divisione delle classi per sessi è una scorciatoia per non affrontare il lungo cammino dell’educazione sentimentale, educazione vissuta generalmente dagli insegnanti, non meno che dai genitori, come un mistero.
Incominciamo dall’inizio, cioè da quelle generazioni che frequentavano classi rigorosamente divise per sesso. Qual è la vera differenza rispetto a una classe mista? Il comportamento dei bambini o dei ragazzi? Niente affatto: diverso è il comportamento degli insegnanti.
Per loro, in una classe divisa, maschile, femminile, era più semplice la comunicazione, non tanto nella spiegazione di una poesia o di un teorema di geometria, quanto nei consigli o nelle imposizioni che impartivano agli studenti affinché seguissero una condotta morale apprezzabile. Insomma, a tutta la classe maschile o femminile si diceva, si rimproverava, si intimava qualcosa che apparteneva soltanto alla realtà maschile o femminile.
Quando cambi modello educativo, e i maschi finiscono a frequentare gli stessi banchi delle femmine, chi si trova in difficoltà sono gli insegnanti. In una classe mista, il tipo di comunicazione morale, sentimentale diventa inevitabilmente più generica perché deve necessariamente rivolgersi a mondi, sentimenti, prospettive esistenziali differenti. Questa genericità porta all’astrattezza, quindi a frasi convenzionali, senza efficacia, senza forza seduttiva, appunto perché la realtà della classe mista è che al suo interno rimane essenzialmente divisa.
Alle elementari i bambini giocano con i bambini, le bambine con le bambine. Quando crescono, è ormai arcinoto che lo sviluppo ormonale e psichico delle ragazze è molto più rapido di quello dei ragazzi. A questo punto, le femmine finiscono per stare ancor più tra di loro, e i maschi si proteggono a vicenda, inibiti dal frequentare un mondo di cui non hanno accesso.
Chi dovrebbe trovare la forma di comunicazione che tiene unite queste due realtà è l’insegnante. Infatti, ragazzi e ragazze della stessa classe sono coetanei, quindi stanno apprendendo con la medesima gradualità le conoscenze che li inseriranno progressivamente nella vita civile. Ciò che diventa complesso insegnare contemporaneamente a un maschio e una femmina, dunque, non è una poesia di Leopardi, ma il significato della vita, della loro vita che si sta formando attraverso la molteplicità di esperienze in cui rientrano le poesia di Leopardi, il latino, la filosofia, la storia... È proprio ciò che si chiama educazione sentimentale.
Ora, siamo sinceri: è semplice un’educazione sentimentale che prenda riferimento un modello maschile (non maschilista) con tutta quella impalcatura tradizionale che distingue (separa) i comportamenti degli uomini da quelli delle donne. Molto più arduo è il messaggio con cui si intende sviluppare un’educazione sentimentale che si rivolge contemporaneamente ai ragazzi e alle ragazze, con la pretesa di mantenere su un piano paritario i due sessi. Qui si naviga a vista in alto mare.
Abbiamo tanti buoni propositi, tante edificanti politiche di pari opportunità, ma una vera educazione sentimentale moderna, che non sia sessista, che non sfrutti la separazione dei sessi, manca generalmente ai nostri insegnanti e questo è uno dei motivi della crisi delle istituzioni scolastiche: insegnanti lasciati soli in questo compito, e famiglie che neppure sanno dove stia di casa l’educazione sentimentale.


Dividere le classi in maschi e femmine, oggi, significa non voler vedere quel problema, facendo un passo indietro nella scuola, e poi lasciando i giovani, una volta fuori dalla scuola, nella più angosciante anarchia sentimentale.

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