nostro inviato a Corleto Perticara (Potenza)
La valle del Sauro, nel cuore della Basilicata, è una delle tante e belle valli dell'Appenino: antichi paesi aggrappati alle colline, torrenti quasi prosciugati da un autunno senza piogge, boschi di faggi e castagni che, salendo, lasciano il posto agli abeti. Il paesaggio rimanda a un'Italia d'altri tempi, ma dall'anno prossimo c'è il rischio che tutto cambi: agli scorci da idillio pastorale potrebbero aggiungersi ogni giorno 170 camion cisterna da 30 tonnellate l'uno, destinati ad arrampicarsi lungo la tortuosa strada del fondovalle.
Nei primi mesi del 2018 Total, la multinazionale francese, intende avviare l'estrazione del petrolio di Tempa Rossa, il più grande giacimento italiano di idrocarburi, scoperto nel 1989 in uno dei comuni della zona, Corleto Perticara, e a cui si lavora da più di 10 anni. Per trasportare senza danni il greggio alle raffinerie un metodo ci sarebbe: attraverso un raccordo sotterraneo con l'oleodotto della vicina Val d'Agri, che è già in funzione, il petrolio finirebbe al porto di Taranto e da qui ai mercati internazionali. La soluzione, già pronta, sembrerebbe ideale. E invece no. Il problema è a Taranto: per immagazzinare il greggio bisogna costruire due grandi serbatoi e per fare fronte all'aumento delle petroliere è necessario prolungare il pontile già esistente. La Regione Puglia si è opposta a entrambi i progetti e, per motivi ambientali, ha negato le autorizzazioni. Risultato: il petrolio made in Italy è pronto per essere estratto, ma non si riesce a portarlo via.
SISTEMA PAESE
La «grana», secondo le procedure previste dalla legge, è finita sui tavoli della Presidenza del Consiglio, che deve tentare di mettere d'accordo gli enti locali coinvolti e, nel caso un accordo non venga raggiunto, adottare per decreto le misure che reputa necessarie, eventualmente imponendo la costruzione di serbatoi e pontile. Nel frattempo, però, Total ha deciso di predisporre un piano B e ha chiesto al Ministero dell'Ambiente e a quello dello Sviluppo di autorizzare il trasporto via camion. La produzione verrebbe ridotta dai previsti 50mila barili giornalieri fino a 20mila e il greggio verrebbe trasferito ai due poli di Malagrotta, vicino a Roma, o di Falconara, in provincia di Ancona. Centinaia di chilometri nell'uno e nell'altro caso. Il maggior costo viene calcolato dal presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli in circa 13 milioni di euro l'anno, pari a circa il 4% del costo del petrolio estratto. Ancora peggiori, però, sarebbero le conseguenze ecologiche. «Le emissioni legate al trasporto raggiungerebbero le 30mila tonnellate annue di CO2», spiega Tabarelli. «La verità è che gli ambientalisti spesso fanno male all'ambiente. E i veti come quelli messi su Taranto finiscono per procurare un danno maggiore di quello che vogliono evitare». Danni economici e ambientali a parte, la vicenda rischia di diventare un caso di scuola delle difficoltà dell'economia italiana. Nei convegni in cui si studiano le cause della mancata crescita una delle immancabili parole d'ordine è la necessità che il Paese e le istituzioni «facciano sistema». Questo a parole, poi in pratica ognuno fa come gli pare, senza interessarsi delle conseguenze. Resta da valutare l'insegnamento che ne possono trarre le imprese internazionali potenzialmente interessate a investire nel nostro Paese. Per Tempa Rossa Total ha messo sul tavolo 1,6 miliardi di euro. Quando potrà recuperare l'investimento e iniziare a guadagnare? Nessuno può saperlo. Almeno fino a quando non si sbloccherà l'impasse legato al «no» pugliese.
IL BOOM DEI MATRIMONI
Secondo gli esperti la Basilicata è seduta su un mare di petrolio. La prima zona in cui fu avviato lo sfruttamento dei giacimenti, negli anni Novanta, è stata la val d'Agri, in cui oggi Eni produce circa 4milioni di tonnellate di idrocarburi ogni 12 mesi. Qualche tempo dopo Total si è aggiudicata la concessione di Tempa rossa, a pochi chilometri di distanza. I comuni interessati sono tre: la già citata Corleto Perticara, Gorgoglione (dove ha sede uno degli otto pozzi) e Guardia dove è in costruzione un impianto di lavorazione. In questo caso le previsioni parlano di 2,5 milioni di tonnellate a regime. L'aiuto alla bilancia energetica non è enorme visto che l'Italia consuma la bella cifra di 60 tonnellate di petrolio all'anno, ma il greggio estratto porta occupazione, le aziende estrattrici pagano tasse salate, comuni e regioni ricevono le royalties. Si calcola per esempio che in 20 anni dal greggio della Val d'Agri la Regione Basilicata abbia incassato quasi 2 miliardi.
A Corleto, meno di 3mila abitanti e un piccolo centro che si affaccia sulla piazza del Palazzo comunale, quei soldi farebbero comodo. Sull'altro versante della valle, in cima a una collina, si intravedono torri e depositi degli impianti di estrazione, mentre nel suo ufficio il sindaco Antonio Massari, avvocato di professione, fa quattro conti: «Quando inizierà l'estrazione ci aspettiamo di ricevere 6 o 7 milioni l'anno e sappiamo già come impiegarli: da 15 anni una frana divide due parti del Paese; ho già pronto un progetto da un milione mezzo per mettere in sicurezza tutta la zona. Poi ho il problema di rifare l'acquedotto, quest'anno siamo rimasti senz'acqua per più di 20 giorni». In attesa delle royalties però Tempa Rossa qualche conseguenza l'ha già avuta: «Nei due anni da quando sono sindaco ho celebrato 30 matrimoni. Da queste parti è un'enormità: per la prima volta i ragazzi non se ne vanno più. Per costruire gli impianti ci sono al lavoro più di 3mila persone, ora si tratta di fare in modo che questi posti da temporanei diventino permanenti». L'altra faccia del petrolio sono, però, le preoccupazioni ambientali. «In Val d'Agri, certo, i problemi ci sono stati». dice Massari. Qui fino a ora no: gli impianti sono molto lontani dal Paese, le tecnologie più moderne. Qualche tempo fa sono venuti i tecnici dell'Acquedotto Pugliese, che dai laghi della nostra zona prendono l'acqua. Hanno fatto test su test e hanno dato un ok a tutto». L'unico incubo restano i camion. «Noi il progetto l'abbiamo bocciato, l'impatto sarebbe devastante: le nostre sono strade di montagna, tutte curve e pendenze. Come si fa a farci passare quasi 200 cisterne al giorno?».
NO ALLE CISTERNE
Il nodo resta dunque la possibilità di usare l'oleodotto che unisce la Val d'Agri al mare. I serbatoi necessari, quelli a cui la regione Puglia ha detto di no, dovrebbero essere costruiti tra e il porto di Taranto e l'Ilva, monumento ai rischi ambientali dominato dalle colossali sagome arruginite delle acciaierie. L'area ospita una raffineria dell'Eni in attività e nelle migliaia di metri quadrati già oggi destinati alla lavorazione del petrolio si innalzano una cinquantina di enormi cisterne. Due in più, sia pure di grandi dimensioni, non sembrerebbero una catastrofe. Per attenuare l'impatto Total si è impegnata a realizzare un impianto per l'abbattimento dei vapori; il comune di Taranto ha chiesto alla società di metanizzare gli autobus cittadini e altre misure di compensazione ecologica su cui le parti stanno discutendo. Il maggior traffico di petroliere porterebbe alla città un indotto di 3 milioni di euro, ma agitare il vessillo ambientale è una carta vincente per i politici a caccia di consenso. Nel 2016 il consiglio regionale, con una mozione firmata da un grillino, ma adesione entusiastica di tutti i gruppi politici, si è dichiarata contraria ad ogni intesa sull'oleodotto. «Il parere degli uffici tecnici non era stato negativo», spiega Domenico Laforgia, capo del dipartimento Sviluppo economico della Regione. «Ma la decisione del Consiglio ci ha legato le mani». Quanto alla contrarietà del governatore Michele Emiliano l'impressione è che il problema fosse più concreto e legato all'assenza di contropartite: «L'impianto è stato costruito in un'altra regione», aveva dichiarato in un'intervista. «Poi ci hanno detto: non sappiamo da dove portar via il petrolio e passiamo da casa vostra. Così non va. Queste cose si decidono insieme».
ASPETTANDO I RICORSI
Di recente i giornali locali hanno parlato di grandi manovre in corso tra il presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella e lo stesso Emiliano. A fare da mediatore sarebbe Piero Lacorazza, consigliere regionale lucano, ex presidente della provincia di Potenza. «Alleggerire la bolletta energetica è un interesse di tutto il Paese. Ma questo non può avvenire a spese solo di alcune zone», dice Lacorazza. «Taranto è già una città ferita, bisogna tenerne conto. E quanto alla Basilicata il suo dovere l'ha sempre fatto. Visti i danni ambientali la nostra regione merita di essere risarcita. E da questo punto di vista lo Stato è già inadempiente».
Ora, comunque, la parola è a Palazzo Chigi. A decidere su Tempa Rossa e il suo oleodotto, inseriti tra le opere strategiche di interesse nazionale, sarà come detto, il governo. Nei prossimi giorni si terrà l'ultima riunione della procedura di mediazione.
Poi l'eventuale decreto, che però potrebbe non chiudere la questione. Un ricorso, al Tar piuttosto che alla Corte costituzionale, non si nega nessuno. Il petrolio può sempre attendere. E poi, al massimo, con buona pace dell'ambiente, ci sono sempre i camion.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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