Ogni volta che si torna a parlare di Brigate rosse e di infiltrazioni di terroristi nel sindacato, i dirigenti confederali dicono: noi siamo le vittime. E per giustificare una simile affermazione portano a esempio Guido Rossa, il delegato dell’Italsider ucciso dalle Br per avere denunciato un terrorista. Ieri però si è toccato il fondo. Messo alle corde dal numero di brigatisti arrestati con in tasca la tessera della Cgil, il sindacato rosso ha deciso di farsi pubblicità per recuperare l’immagine rovinata dagli arresti e non ha trovato di meglio che pubblicare sull’Unità una pagina con la foto in bianco e nero del sindacalista ucciso e la scritta: «Guido Rossa. Operaio, sindacalista, assassinato dalle Br. 2007, continuano a farci del male».
A parte che a far del male a Guido Rossa fu la colonna genovese delle Br, di cui facevano parte alcuni sindacalisti, ma questo lo abbiamo già detto altre volte, ciò che stupisce è l’uso spregiudicato che si fa della tragica storia del povero Rossa. Basterebbe conoscere la solitudine in cui fu lasciato quando denunciò il postino delle Br per essere nauseati da quella pubblicità. Basterebbe rileggere le cronache di quegli anni per sapere che nessuno dei membri del consiglio di fabbrica sentì il dovere di unirsi a Guido Rossa nella denuncia del terrorista. E capire che quella della Cgil è un’appropriazione indebita. Ma ancor di più basta ricordare che quando si svolse il processo per l’uccisione del compagno Guido Rossa, il Pci cercò di intrufolarsi, usandone il nome e chiedendo di costituirsi parte civile contro i brigatisti, ma il tribunale respinse la richiesta. Anche i compagni di fabbrica chiesero di partecipare all’azione legale, ma non ci fu bisogno di una decisione dei giudici, bastò quella della moglie di Guido Rossa: che disse di no.
A distanza di anni la figlia dell’operaio ucciso dalle Br ha scritto un libro, ricordando quell’omicidio politico e anche la solitudine in cui fu lasciato il padre. Cito i suoi ricordi del giorno del funerale: «Osservavo quella moltitudine. Erano arrivate a Genova 250mila persone: entrarono nella piazza e si strinsero al furgone, intorno a noi, in un abbraccio finale, gridando slogan contro il terrorismo.
Già, ma ancor di più stride, a distanza di ventotto anni, quella foto stampata ieri sull’ultima pagina dell’Unità. Una pubblicità quasi tutta in bianco e nero. Forse il rosso era stato usato tutto per vergognarsi.
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