In questa effervescente estate giornalistica, si rifà vivo anche Mitraglietta. Dopo i fulminei cambi di direzione in diversi grandi giornali, tra cui questo, e le sofferte nomine al Tg1 e Tg2, spunta il nome di Enrico Mentana direttore di qualcosa. Proprio in questi giorni in cui tutti boccheggiavamo per il caldo, Enrico ha dato fondo alle sue proverbiali energie per la conquista di una poltrona.
La settimana scorsa se n’è fatto il nome per la direzione di SkyTg24, in luogo di Emilio Carelli. Pare lo volesse Rupert Murdoch in persona per mazzolare le tv del Cav attraverso uno che le conosce bene. Un ex della famiglia col dente avvelenato per la traumatica uscita da Mediaset in febbraio. Ma, probabilmente, si è sottovalutato Carelli, detto bonzo tibetano per gli occhi a mandorla, le notevoli rotondità e la calma glaciale. Già vice di Mentana al Tg5, Emilio deve avere trovato qualche buon argomento per rintuzzare l’aggressione. Per esempio essere il creatore di SkyTg24 e condurlo con successo da sette anni. Forse si è appellato a Walter Veltroni che il 22 agosto ha spezzato una lancia a suo favore dicendo: «La Rai è morta da quando scimmiotta Mediaset. Ormai solo Sky si può guardare». Come dire, Carelli non si tocca. A me e alla parte del Pd che rappresento, piace.
Sfumata Sky, Mitraglietta è tornato in pista per la direzione del Tg3, detta Telekabul perché storicamente appaltata agli ex comunisti. Sembra il più accreditato. Gli altri candidati sono Bianca Berlinguer, pupilla del duo D’Alema-Bersani, figlia di Enrico, l’ex segretario del Pci e Barbara Palombelli, sostenuta dagli ex della Margherita e moglie del loro leader, Ciccio Rutelli. Bravissime e belle figliole entrambe ma troppo sfacciatamente imparentate per non suscitare scalpore.
Così, Enrico è di nuovo in prima linea. Lui non è amico di Veltroni e neanche di Franceschini. Quelli del Pd che ha più frequentato sono i realisti e praticoni. Ossia, D’Alema e la sua cerchia. Se costoro intuiscono che per la figlia di Berlinguer non è cosa, Mentana arriva a fagiolo. Sulle sue capacità non ci piove. Un alone di sinistra l’ha sempre avuto. L’uscita polemica da Mediaset all’inizio dell’anno ha rafforzato la sua immagine di non berlusconiano.
In realtà, se gli riesce ad andare al Tg3, le polemiche non mancheranno. A destra già lo sopportavano poco quando era a Mediaset considerandolo un infiltrato tra le mura del Cav. Ora diranno che finalmente getta la maschera. Ma neanche a sinistra faranno festa. I puri e duri - sento già Di Pietro, Rosy Bindi, Ferrero e lo stesso Franceschini - diranno che a Telekabul arriva il cavallo di Troia del Berlusca. Enrico invece potrà far valere l’insoddisfazione di entrambe le parti come prova della propria indipendenza. È il blasone del quale si fa vanto da lustri.
Ma quanto c’è di vero?
Il cinquantaquattrenne Mentana debuttò nel giornalismo a 25 anni entrando alla Rai come craxiano a tutto tondo. Ci restò 13 anni facendo carriera sotto l’ala di Bettino. Per tutti gli anni Ottanta lo vedemmo in ogni salsa: inchiestista, intervistatore, vicedirettore del Tg2, mezzobusto. Ci scagliava le notizie in casa con una parlantina torrentizia e sonora che gli valse il bellicoso soprannome di Mitraglietta.
Quando il Cav, che di Craxi era amico, decise di lanciare il suo super Tg su Canale 5, pensò appunto al pupillo di Bettino. Fu Craxi a battezzare il debutto del nuovo telegiornale. Non mancano le foto sorridenti ed euforiche, scattate negli studi di Mediaset, col Cinghialone e il cosiddetto trio: Mentana, il direttore, e i vice fedelissimi, Clemente Mimun e Lamberto Sposini. Dunque, fin da allora, Enrico era, non già un giornalista indipendente, ma il più rappresentativo della stagione politica dominata da Craxi. Tant’è che il Tg5 da lui diretto mise la sordina agli inizi di Tangentopoli. Bettino era il bersaglio principale dei giudici e Mentana specializzò il suo telegiornale nei fatti di cronaca nera. La scusa era che la gente preferiva la vita reale alla politica. La verità era invece che si voleva sviare l’attenzione. Solo quando la macchina da guerra del pool di Milano si mostrò inarrestabile, tutto cambiò. Di fronte agli umori popolari, sempre più giacobini, Craxi divenne indifendibile. Lo stesso Cav, sia detto a suo rimprovero, si schierò per qualche tempo con i sanculotti. Mentana prontamente allineò il suo Tg con interminabili informazioni sui Di Pietro, i Borrelli, i Davigo e altri oggi sepolti dall’oblio. Bettino scomparve dal suo orizzonte e il riferimento esclusivo divenne, come per ogni direttore, giornale e tv, il suo editore. Ossia, il mostro di Arcore.
Enrico è rimasto a Mediaset 17 anni. Prima in perfetta sintonia col Cav. Poi, mentre i tempi cambiavano avvicinandosi ai giorni nostri, con alti e bassi. Fu in questo barcamenarsi sul lungo periodo che nacque la leggenda dell’indipendenza mentaniana.
La realtà è diversa. Enrico e Silvio avevano di fatto trovato un reciproco vantaggio nella loro annosa convivenza. Con qualche bizza e qualche disobbedienza, il direttore e poi conduttore di Matrix si è creato fama di spirito libero. Il Cav di editore liberale che tollerava il dissenso in casa propria. In questo senso, i due sono pari e patta.
Interamente da compiangere è invece la redazione kabulista. Dopo il pacioso Antonio Di Bella, attuale direttore, arriva un tipo al pepe di Caienna. Mentana si considera il numero uno del giornalismo mondiale. L’unico che capisca al volo e calamiti l’attenzione dei telespettatori. Detesta tutti quelli che possono fargli ombra. Se uno ha un minimo di successo, lo stronca. Spesso maramaldeggia. Cesara Buonamici ci teneva tantissimo a presentare il Tg5 delle 20. Sapendolo, Enrico la teneva sulla corda. Se scalpitava troppo, profittando di un periodo in cui era un tantinello ingrassata, il direttore la apostrofava pubblicamente: «Portaerei». A Carelli, molto legato a Mediaset, rese la vita amara spingendolo di fatto a lasciare l’azienda per Sky. Per Carmelo Luciano che si fece una certa fama nelle inchieste per uno stile svelto e ironico, non ebbe mai una lode. Ma al primo errore gli saltava addosso. Finché, esasperato, Carmelo cambiò settore. Quando Sposini lasciò il Tg5 per la Rai, serpeggiò preoccupazione poiché era, dopo Mentana, il volto più noto. Era appena uscito che Enrico dichiarò: «Non cambierà nulla. I conduttori non contano». E Sposini era, ed è, suo fraterno amico. Molto amato dalla redazione per capacità e moderazione era Massimo Corcione, addetto alla macchina del tg e il numero due dopo l’abbandono di Sposini. Anche a lui rese la vita impossibile, prima relegandolo all’informazione internet, poi spostandolo qua e là. Tanto fece che Corcione se ne andò. Insomma, a turno, angariava questo e quello.
Nel 2004, Mentana fu sostituito da Carlo Rossella alla guida del Tg5. Mostrò il suo disappunto non parlandone con nessuno prima di fare una pubblica dichiarazione nel corso del tg: «Questa sera termino il mio lavoro al Tg5. Lo dico per la prima volta al voi telespettatori, com’è giusto». Un corno, ci sarebbe stato da dirgli. Il cambio di direttore non è un trauma per spettatori e lettori, se non relativamente. Lo è innanzitutto per la redazione che teme l’ignoto. Fu infatti una doccia fredda per i giornalisti. In breve però, se ogni tanto correva voce che Mentana sarebbe tornato, parlandone con loro ti dicevano: «Per carità. È talmente prevaricatore che è meglio stia lontano». Una volta, mentre gli facevo un’intervista, entrò una che lui maltrattò (o forse me ne parlò male dopo che era uscita). Io lo scrissi. Enrico prese cappello e proclamò urbi et orbi che gli avevo «teso una trappola».
È incapace di sopportare critiche. Ma lui se ne permette a iosa. Di Bruno Vespa, concorrente di Matrix con Porta a Porta e in perenne guerra sull’auditel, ha detto: «È solo un uomo pieno di boria, capace di falsificare i dati per non perdere i privilegi». Su Montanelli ha sibilato: «È il più grande articolista (sic!) italiano, ma il Giornale è il più brutto quotidiano italiano». In febbraio, licenziato da Mediaset dopo avere criticato il palinsesto della sera in cui mori Eluana Englaro, disse: «Non mi sento più di casa in un gruppo che sembra un comitato elettorale dove tutti la pensano allo stesso modo (stuoini berlusconiani, ndr) e perciò sono stati messi al loro posto». Questo dopo avere convissuto, tratto fama, notevoli quattrini e diretto i suddetti leccapiedi per tre lustri e passa.
Irreprensibile in redazione, contrariamente a Sposini che era sempre innamorato di una collega, Enrico non si è fatto mancare niente in fatto di fanciulle. Ha rampolli da tre diverse compagne. Stefano nacque dalla convivenza con una bruna docente di storia, figlia di un importante deputato comunista, Fernando Di Giulio. Si innamorò poi della rossa Letizia, giornalista, che gli dette Alice e che, stando a voci, gli lanciò arrabbiata un portacenere in redazione. Si è sposato una sola volta e lo è tuttora con Michela di Torrepadula, ex fidanzata di Chicco Testa. A lei, da cui ha avuto Giorgio e Vittorio, ha dedicato il suo ultimo e unico libro, «Passionaccia», sulla sua vocazione giornalistica, le avventure con Berlusca e le varie cose che vi ho raccontato. Testimone delle nozze fu il presidente di Fininvest, Fedele Confalonieri, tra i capibanda dell’immondo «comitato elettorale» nel quale ha vissuto principescamente il grosso della sua vita professionale. Di lui ha detto subito dopo la lite con Mediaset: «In questi mesi non si è mai ricordato di esserlo stato». Come dire: non meritava la mia fiducia. Enrico è così.
Ne ha per tutti, non c’è che lui.
Concludo con un omaggio che gli fa, mio tramite, un collega che lo conosce bene e ha il dono della sintesi: «È il migliore giornalista televisivo italiano e il peggiore direttore».
Auguri ai colleghi del Tg3.
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