Nessun reduce di quella prima volta: dicembre, giorno due del Millenovecentosei, il Madrid batte l'Atletico 2 a 1. Un anno prima si erano già ritrovate ma in un paio di amichevoli finite in pareggio e ancora prima, il venti di novembre del Quattro era finita 6 a 0 per i bianchi. Non era ancora Real, non era ancora Atletico, la storia avrebbe dato loro onori e insegne, la sfida di domani ha sapore verissimo di derby, perché se chiedete a un tifoso ma soprattutto a un calciatore del Real o dell'Atletico quale è l'avversario da battere la risposta sarà uguale, non il Barcellona ma quelli lì, los otros, gli altri della nostra città. Madrid capitale in esterna, Madrid regina di titoli, confronto di storie che si sono separate con l'apertura agli stranieri, con l'arrivo dell'argentino Di Stefano che, insieme con le meringhe meravigliose interruppe il dominio dell'attacco di cristallo, al secolo il quintetto biancorosso Helenio Herrera-Ben Barek-Carlsson-Perez Paya-Juncosa o Escudero. Tempi lontani con cognomi vicini, il mago poi nerazzurro fra questi. Tempi di una Spagna che non soffriva ancora per la guerra civile e che già godeva per il football. Tre sono i clubs spagnoli che hanno vinto un titolo mondiale e due sono il Real e l'Atletico, va da sé che il terzo sia il Barcellona, diverso da tutto e da tutti, per lingua e censo calcistico.
Storie che si incrociarono, quando Santiago Bernabeu, proprio lui, il monumento del Real, indossò la maglietta biancorossa, così come accadde a Julian Ruete, suo rivale, entrambi poi dirigenti dei due club. Senza dimenticare i casi più recenti di Hugo Sanchez, l'odontoiatra messicano e Bernd Schuster, un tedesco astuto che provò le tre esperienze, prima il Barcellona e a seguire, negli anni, il Real a poi l'Atletico, per tornare come allenatore a Madrid con i bianchi. Madrid terra fertile per gli stranieri, di ogni dove, compresi gli italiani, da Cannavaro a Capello, a Sacchi, a Panucci, anche Cassano e Vieri se qualcuno lo avesse dimenticato, citando i più famosi. Duecentosettantacinque confronti diretti tra Real e Atletico, 145 a 69 il numero di vittorie, in Europa 64 a 24 con quella prima volta difficile da dimenticare. Era la stagione '58-59 e la coppa mise di fronte in semifinale le due. Non era ancora in vigore la regola del gol doppio in trasferta, dunque il 23 aprile davanti a 120mila spettatori al Bernabeu, finisce 2 a 1 passano in vantaggio i materassai con Antonio Gonzales detto Chuzo, pareggia Rial e poi Puskas su rigore generoso accordato dall'arbitro scozzese Mowat, segna il gol decisivo. L'Atletico ha la possibilità di pareggiare con un altro rigore felicemente fischiato ma Edvaldo Izidio Neto, detto Vavà, sbaglia. Il ritorno al Metropolitano, spettatori cinquantamila, arbitro sempre britannico, stavolta l'inglese Leafe, 1 a 0 per l'Atletico con gol di Collar. Il regolamento prevede partita in campo neutro anche se le squadre sono della stessa città. Le due discutono, il Bernabeu è pronto, il Barcellona offre il proprio stadio ma alla fine si trasloca a Saragozza alla Romareda: l'arbitro viene ancora dall'isola della regina, si chiama Ellis, segna Di Stefano, pareggia Collar, il colonello ungherese Ferenc Puskas sistema la faccenda e a due minuti dalla fine Joaquin Peirò sbaglia clamorosamente l'occasione del pareggio. Raccontato nei dettagli perché distante nel tempo e senza tivvù.
Le ultime corride sono invece roba dei giorni nostri: l'anno scorso nei quarti, 0-0 al Calderon poi 1-0 per i blancos con gol di Chicharito Hernandez, e
soprattutto due anni fa in finale a Lisbona, 4 a 1, dopo i supplementari, per il Real che aveva agguantato il pari all'ultimo secondo dei regolamentari, con Sergio Ramos. Odore di vendetta. Profumo di finale, nacchere e champagne.
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