La Merkel non piace più: è troppo liberale

Quando vinse le elezioni tedesche lo scorso 27 settembre, Angela Merkel sembrava destinata a un futuro politicamente tranquillo. Finalmente libera dall’innaturale zavorra dei socialdemocratici con i quali era costretta dall’aritmetica a governare; e grata agli elettori che le avevano messo a disposizione un alleato vero, in sintonia con la linea politica della sua Cdu: i liberali dell’emergente leader conservatore-illuminato Guido Westerwelle. Alla guida di un esecutivo di centrodestra, «Angie» si era dunque messa all’opera convinta di avere davanti una legislatura tranquilla. Illusioni. A poco più di cento giorni da una solida vittoria elettorale, il solito implacabile sondaggio realizzato per la rete televisiva pubblica Ard certifica la fine della «luna di miele» tra la Merkel e i tedeschi.
I numeri sono spietati. Solo il 28% degli intervistati dà un giudizio positivo del governo, contro un 67% di insoddisfatti. L’indice di gradimento personale della Cancelliera è precipitato di ben 11 punti in un mese, scendendo a un 59% che per lei è il livello più basso dal dicembre 2006: un dato che la scalza dal vertice della classifica dei politici più amati della Germania, ora occupato dal giovane ministro della Difesa Karl-Theodor zu Guttenberg. E addirittura l’82% del campione statistico pretende più leadership dalla Merkel, chiedendole di «dare al governo una direzione politica più chiara».
Il punto è proprio questo: non si può dire che i tedeschi abbiano cambiato idea, che abbiano svoltato a sinistra. Il sondaggio rivela che si votasse oggi la Cdu otterrebbe il 36%, ben più del 33,8 rimediato il 27 settembre, mentre l’opposizione di sinistra manterrebbe il suo 47% pur rimescolando le carte al suo interno. A perdere sarebbero proprio i liberali: gli alleati di Angela scenderebbero nettamente, dal 14,6% preso alle elezioni a un ben più modesto 11%.
L’apparente paradosso della Merkel, in difficoltà a governare proprio adesso che ha accanto i suoi alleati naturali, è in realtà facilmente spiegabile. I liberali, imbaldanziti da un successo elettorale senza precedenti, hanno preso ad alzare la voce nel governo bicolore nero-giallo, facendo dimenticare i tempi in cui ne erano ospiti piccoli piccoli con il loro 5 per cento faticosamente racimolato. Non c’è più insomma il partitino dell’élite borghese accanto al movimento cristiano di massa perfettamente impersonato dal corpulento Helmut Kohl. Oggi i liberali «pesano» al Bundestag oltre un terzo della Cdu-Csu e hanno in Guido Westerwelle un leader dinamico e ambizioso.
Il problema è che molte posizioni dei liberali sono in realtà sgradite ai conservatori che votano per «Angie». La Fdp è infatti un partito fortemente liberista (e quindi «conservatore» secondo schemi politici un po’ logori) ma molto attento ai diritti individuali in campo sociale (e quindi «progressista» secondo quei medesimi schemi): un partito che in Italia somiglierebbe abbastanza a quello radicale, se quest’ultimo fosse sgravato dal folklore pannelliano. Non a caso Westerwelle è il primo politico tedesco di alto livello a presentarsi in pubblico con il suo partner omosessuale.
Per coesistere con un siffatto alleato, che vuol tagliare le tasse ed è poco disponibile a un certo assistenzialismo di Stato che in Germania ha una lunga tradizione (e su entrambi i temi il sondaggio indica la contrarietà della maggioranza dei tedeschi), Angela Merkel ha scelto un atteggiamento «presidenzialista» che fa perdere visibilità alle posizioni del suo partito. Un rischio che i supertradizionalisti bavaresi della Csu già denunciavano lo scorso autunno, ma che ora preoccupa gli stessi elettori tedeschi.

E ora anche i cattolici cominciano a farsi sentire: l’arcivescovo di Monaco Reinhard Marx accusa sullo Spiegel la Cancelliera di aver rinunciato a far rappresentare alla Cdu i principi cristiani, in primo luogo per quanto riguarda la politica della famiglia.

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