Meryl Streep: «Il diavolo? Per me veste solo stracci»

Michele Anselmi

da Venezia

Dovreste sentire come pronuncia sullo schermo, con voce bassa e monocorde, quel «That's all», ovvero «è tutto», facendolo seguire da un brusco gesto della mano. Così Meryl Streep, nei panni dell'odiosa-seducente Miranda Priestley, congeda i suoi sottoposti prossimi alla lacrima in molte scene di Il Diavolo veste Prada. Del film di David Frankel, spiritoso e feroce, nonostante l'epilogo un po’ buonista che redime per un attimo l'imperiosa direttrice di Runway, inventata Bibbia della moda, ha già scritto Stenio Solinas. Ma ieri, nel giorno della proiezione pubblica seguita da un'esclusiva festa notturna sullo yacht TM Blue di Valentino, la scena è stata interamente occupata da Meryl Streep: davvero «Streepitosa», come ha titolato il daily Ciak in mostra con azzeccato gioco di parole. Ci voleva lei, democratica star cinquantenne che sa invecchiare bene, senza troppo curarsi della linea, per galvanizzare un festival già avviato malinconicamente alla chiusura. I capelli tornati lunghi e castani (la luciferina Miranda li porta corti, di un bianco platinato), una camicetta bianca a rombi al posto del favoloso look da Crudelia Demon, la Streep si sottopone sin dalla mattina al rito delle interviste televisive. Niente quotidiani. Per noi solo la conferenza stampa delle 14, affollata come per le grandi occasioni.
Voce diversa da quella di Maria Pia Di Meo, sua doppiatrice ufficiale: più calda e birichina, anche se a tratti si irrigidisce per fare scherzosamente il verso al tono di Miranda. Che l'attrice non vede come una «cattiva». «Semmai è esigente, non ha bisogno di sfoderare la grazia che ci si aspetta da una donna anche nell'esercizio del potere. Del resto, non sarebbe venuto in testa a nessuno di farci sopra un film se a parlare e comportarsi come lei fosse stato un uomo. E io ne conosco tanti, egualmente carogne».
I favolosi vestiti indossati nel film, tutti ultrafirmati, compreso il Valentino nero espressamente disegnato per la scena delle sfilate parigine, sono finiti all'asta, in modo da reperire fondi per non meglio definite «associazioni umanitarie». Dice: «È stato molto divertente indossarli. Mi sentivo come un guerriero che calza la corazza in vista della battaglia. Di sicuro dentro quegli abiti così assurdamente costosi ti senti ancora più potente». Nella vita vera la Streep non assomiglia in niente a Miranda, personaggio a sua volta ritagliato su quello della tirannica Anna Wintour, direttrice di Vogue America. Pensate che qualche tempo fa a Hollywood l'hanno criticata per aver utilizzato, durante la cerimonia degli Oscar, un abito già precedentemente indossato. «Non che mi senta diabolica, ma nel mio caso un libro potrebbe intitolarsi Il diavolo veste stracci», ribatte civettuola. «Intendiamoci, non ho niente contro quel mondo, nel quale ho qualche amico. Credo anzi che il carattere delle persone si riveli anche attraverso gli abiti che indossano: è un tema che mi è caro, l'ho studiato sin da ragazza». Una collega chiede se la vera Anna Wintour abbia gradito o no il film. «Ma certo. È venuta alla prima del film, s'è divertita, ha addirittura ringraziato. Naturalmente era vestita Prada dalla testa ai piedi». Nel film, invece, Miranda indossa solo una borsa con quel marchio, il resto lo fa il titolo: azzeccato, allusivo, più efficace di qualsiasi spot, per di più gratis (Prada non avrebbe sborsato un dollaro).
Sposata da ventisette anni con lo stesso uomo, l'artista Don Gummer, e madre di quattro figlie, la Streep ha saputo reinventarsi come poche, piegando il naturale temperamento drammatico, celebrato dal film Kramer contro Kramer o La scelta di Sophie, a una sottolineatura ironica, da commedia, come dimostrano i recenti Lemony Snicket. Una serie di sfortunate coincidenze e Radio America. «Sono i ruoli che scrivono per attrici della mia età. Ma va bene così. Sono una donna fortunata. Ho a disposizione lunghi periodi per stare in famiglia. Basta saper convivere con l'incertezza. D'altro canto, col mestiere che faccio, mi sembrerebbe ridicolo parlare di sacrifici.

Sono arrivata al punto di scegliere i film solo se mi permettono di non rimanere troppo tempo lontana da casa. S'intende, devono piacermi le storie». Nel caso di Il diavolo veste Prada, evidentemente, la proposta era troppo ghiotta per non aderire.

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