Messa incinta dal patrigno partorisce a dodici anni

PiacenzaQuesta non è una favola, ma una brutta storia raccontata mentre le luminarie di Natale illuminano gli occhi dei bimbi.
Anche lei è ancora una bambina eppure ha già dovuto diventare donna, addirittura madre, quando per lei sarebbe stato ancora il tempo dei balocchi.
Violentata dal patrigno, a dodici anni ha partorito. Non è un incesto ma ci somiglia tanto. Per la legge tecnicamente trattasi di violenza carnale, con l’aggravante che la vittima è minorenne.
È successo tutto nel silenzio di una casa alla periferia della tranquilla, paciosa, benestante Piacenza. Un appartamento in cui vivevevano tre immigrati peruviani. Vita umile ma dignitosa. Lui, 36 anni, operaio in una ditta metalmeccanica, la compagna, una connazionale separatasi dal marito poco dopo la nascita della figlia, donna delle pulizie. Entrambi qui da una decina d’anni. E poi lei, la vittima.
Aveva appena dieci anni quando le attenzioni malate dell’uomo si concetrarono sul suo acerbo corpo di bimba. Due anni di abusi, di sesso senza preacauzioni, mentre mamma era al lavoro.
Ci ci è accorti di cosa stesse accadendo soltanto quando la donna ha deciso di portare la figlia da un medico. Quei dolori di pancia, quei disturbi gastrointestinali, in realtà erano frutto della nuova vita che le stava crescendo dentro. Quarto mese di gravidanza, il responso. Da qui l’allarme a polizia e i servizi sociali. La ragazzina, almeno all’iizio, non disse chi era il colpevole. Dando così tempo al patrigno di fuggire in Perù, dopo i primi interrogatori. Sentiva il cerchio stringersigli intorno.
Il paziente lavoro di psicologi, servizi sociali e poliziotti della squaddra Mobile permise piano piano di arrivare alla verità, superando il muro di vergogna e omertà. Era gennaio scorso quando l’uomo prese un aereo per tornarsene di nascosto in Perù. Sette mesi di «latitanza» nella sua città d’origine, ma sempre sorvegliato a distanza dalla polizia italiana. Cntinuava a tenere contatti sia con la compagna, ma sorattutto con le due sorelle e i genitori, pure loro residenti nel nostro Paese. Avevavo utti i telefoni sotto controllo. Così quando ha deciso di tornare, pensando che nessuno gli stesse dando la caccia, le manette sono scattate ai polsi. Direttamente a Malpensa, appena sceso dall’aereo.
Non ha potuto negare di fronte a giudici e investigatori: il test del Dna su quel bimbo che nel frattempo era nato, non lasciavano spazi a dubbi. Poi le parole della «figlia-mamma», i racconti sempre più circostanziati degli abusi subiti.


Agli psicologi, che l’hanno seguita passo dopo passo in questa immatura gravidaza, lei in lacrime raccontava del suo unico sogno: «Vorrei accendere la tv e vedere il mio patrigno arrestato e portato in carcere.
Almemo questo si è realizzato.

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