La messa in scena della sobrietà intristisce anche il Don Giovanni

La messa in scena della sobrietà intristisce anche il Don Giovanni

Nessuna aria di crisi. La voglia di prima alla Scala batte la tentazione di obbedire all’invito un po’ ipocrita alla sobrietà. Anche perché una poltrona in platea costava 2.400 euro e di inviti omaggio quest’anno se ne son visti pochi. E allora la parola magica è «vintage», un modo per poter indossare abiti e gioielli da favola senza apparire sfacciati. A Milano il vero peccato capitale. Poco o per nulla diverso questo sant’Ambrogio della nuova era. Non fosse per il primo nudo integrale sul palco, qualche loden in più in omaggio alla moda montiana e a quelle proteste in piazza ormai di rito ma che, nonostante i rigori della manovra finanziaria, dimessosi Berlusconi sono improvvisamente diventate soft. E rispetto all’odore acre dei lacrimogeni dell’anno scorso con i carabinieri feriti, si è passati alla goliardia di un uovo lanciato sulla macchina del premier Mario Monti. Identici gli applausi all’ingresso del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la moglie Clio. Smoking «di dieci anni fa» per il governatore Roberto Formigoni (nella foto) seduto nel palco reale con Napolitano, il sindaco Giuliano Pisapia e il presidente della Provincia Guido Podestà. «Ho parlato con Napolitano e Monti - racconta Formigoni - Di manovra e federalismo». Sfilano i soliti Umberto Eco («devo pensarci su una notte»), Eugenio Scalfari, Francesco Saverio Borrelli («la regia mi ha lasciato perplesso»), Francesco Micheli, Elio Catania, Bruno Ermolli («proprio in momenti come questi gli italiani hanno bisogno di essere orgogliosi e la Scala è un orgoglio»), Carlo Sangalli, Massimo Ponzellini. Il salotto buono di cui fa oramai parte anche Valeriona Marini dirompente di fascino. Così come la Donna Anna della Netrebko. Ma la coppia più fresca e inseguita sono Barbara Berlusconi e Pato, stretto in un impeccabile smoking. «Un'opera bella - spiega lei che sempre più assomiglia a mamma Veronica - Una scenografia moderna e a volte audace, ma che sa parlare agli spettatori di oggi. Bene il ritorno delle grandi star perché serve a rilanciare l’immagine di Milano nel mondo». Altrettanto ammirato la stella del balletto Roberto Bolle. Il resto è Don Giovanni. Per la regia del canadese Robert Carsen, il regista che mise Berlusconi in mutande nel Candide di Bernstein nel 2007. In scena ora un libertino minimalista. Apprezzato da molti, ma stroncato da Alessandro Cecchi Paone. «Orrendo, sembra firmato da Landini, il sindacalista capo della Fiom». Entusiasta Bruno Vespa («scenografia meravigliosa»). Sul palco, ma anche in platea dove spuntano i cantanti, eros e thanatos. Il mito più ancestrale di amore e morte che si disvela all’alzarsi del sipario. Rito immutabile di una Scala che resta, mentre i governi passano. Tre i ministri, oltre al premier: Corrado Passera («è la prima di una fase della vita davvero inaspettata»), Lorenzo Ornaghi e un’elegante Annamaria Cancellieri.

Riflessi nell’enorme specchio sulla scena che alla fine trascina tutti all’inferno. Non solo il Don Giovanni più esistenzialista che si sia visto alla Scala. Undici minuti di applausi e pioggia di garofani dal loggione.

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