di Ferruccio Repetti
«Vorrei che lopinione pubblica sapesse che non ho mai detto falsa testimonianza»: è un richiamo forte alletica di comportamento, personale e aziendale, prima ancora che una strenua difesa dufficio, quella che Ignazio Messina, amministratore delegato dellomonima compagnia armatoriale genovese, affida a un fascicolo assai documentato che ripercorre le tappe del contenzioso con lex presidente dellAutorità portuale Giovanni Novi a proposito dellassegnazione del terminal Multipurpose. Un contenzioso, del resto, ancora in corso: siamo alla vigilia delludienza del tribunale che dovrà decidere sulla bontà o meno, giuridicamente parlando, della procedura adottata da Palazzo San Giorgio che ha portato in un primo tempo alla spartizione degli spazi fra vari terminalisti, tra cui Messina, e successivamente allarresto dello stesso Novi e a una sequela infinita di veleni (più tossici, per il porto di Genova, di qualunque sversamento di petrolio in mare). E siamo anche, contemporaneamente, allindomani della conclusione della nuova gara, indetta dallAuthority guidata da Luigi Merlo, che ha assegnato il Multipurpose a un consorzio formato dalla «Ignazio Messina» e dal Gruppo Gavio.
Ma tutto questo è solo una coincidenza temporale, per chi vanta il medesimo nome di tanto nonno che, a partire dal 1921, ha tracciato la rotta della «Messina» con annesso rigido criterio di responsabilità; lIgnazio di oggi - che pure ha fama non usurpata di «fumino», quando si tratta di far valere le proprie ragioni, chiedere per conferma in comitato portuale... - si uniforma alla tradizione di trasparenza, e cita documenti ufficiali e ufficiosi, discreti e riservati, e di altrettanti «documenti» nega lesistenza, in particolare quelli che, a furia di essere citati, sono diventati reali pur essendo apocrifi. Il famoso biglietto, ad esempio, con la scritta autografa «Bravo!», in allegato a una bozza di comunicato stampa in cui il compianto Giorgio Messina avrebbe fatto i complimenti a Novi per come aveva condotto la faccenda Multipurpose. «Il bigliettino in argomento - rivela Ignazio, facendo mostra di calma olimpica, ma sempre guardato a vista dal legale della società perché non si lasci scappare qualche giudizio estemporaneo - non è presente nellarchivio ufficiale dellAutorità portuale, prova assolutamente nulla e così come è stato presentato è inattendibile. Laccordo venne siglato perché i Messina furono costretti a firmarlo da Novi e dal professor Sergio Maria Carbone». I fatti sono andati in maniera ben diversa da come si raccontano, insiste lamministratore delegato della compagnia che mette in mare, ogni giorno dellanno, una flotta di sedici navi di proprietà più altre a noleggio, ha base operativa al terminal Ronco e progetti di espansione «nonostante tutto».
La Messina, dunque, «non ha mai partecipato a trattative per la spartizione del Multipurpose del 1° aprile 2004», ha solo «subìto» laccordo proposto da Novi come male minore. Non basta: Ignazio Messina è un fiume in piena, si orienta fra le carte, i verbali delle deposizioni e i passaggi dellindagine come se fosse ormai - lui laureato in Economia e commercio - un esperto di diritto. Poi magari si lascia anche andare a qualche definizione un po troppo sbilanciata a suo favore. Ma, precisa, «lindagine sul Multipurpose non è nata su una nostra denuncia, la procura ha iniziato a indagare sul porto su richiesta di Novi che denunciò illeciti nelle concessioni e i terminalisti che non pagavano i canoni concessori adeguati alle superfici occupate. La Messina non era fra questi». In ogni caso, «mai abbiamo detto che lex presidente Novi ha avuto interessi patrimoniali nelloperazione», e «non temiamo che il processo riporti indietro le lancette della storia recente».
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