Metheny: «Io e Mehldau in duo per trasformare il jazz in poesia»

Esce domani il cd di duetti per chitarra e piano. «In febbraio ci sarà il seguito per quartetto e poi la tournée mondiale»

Antonio Lodetti

da Milano

Cosa vien fuori dall’incontro tra Brad Mehldau - incontrastato detentore della corona di re del piano jazz - e la chitarra di Pat Metheny che - abbandonate le seduzioni commerciali - è tornato a tempo pieno ad esplorare le potenzialità del jazz moderno? Naturalmente un disco lirico come Metheny - Mehldau, un affresco di dieci quadri che combina i loro sapienti fraseggi in una splendida aura d’improvvisazione, realismo, giocosa esuberanza. Un album perfetto, per la soddisfazione di Metheny, che ieri è arrivato a Milano per presentarlo. «Purtroppo Brad è in tour in Corea - dice il chitarrista -, il nostro problema è che abbiamo mille impegni. Da 12 anni ci ripromettevamo di fare qualcosa insieme. Lui ha da poco pubblicato due album, io uno ma sono reduce da due tournée. Siamo troppo indaffarati e, per buttarsi in nuove collaborazioni, ci voleva un’occasione speciale come questa. Così lo scorso dicembre, invece di andare in vacanza, ci siamo chiusi in studio di registrazione per una settimana senza dirlo a nessuno, neppure alle nostre mogli». Un colpo di fulmine? «Sì, una magia, suoni che diventano poesia. Ammiro Mehldau dai suoi esordi. Suonavo con Joshua Redman e lui mi disse: “ho ingaggiato un giovane pianista eccezionale”. Poi ho sentito un pezzo di Brad alla radio, mentre guidavo. Mi colpì come un pugno, tanto che ho dovuto fermarmi per ascoltarlo, e da allora è diventato una fonte d’ispirazione per me. Ha un linguaggio nuovo, interpreta l’armonia creando un idioma personale. Inoltre sviluppa un sistema compositivo unico usando contemporaneamente diverse tonalità. Poi oltre alla musica ci unisce un’affinità spirituale». Nell’album ci sono sette composizioni di Metheny (spiccano Summer Day, e Find Me In Your Dream dedicata alla moglie) e tre di Mehldau (Unrequited, Annie’s Bittersweet Cake, Legend) e tutti i brani sono preziosi duetti tranne Ring of Life e Say the Brother’s Name supportati dalla raffinata ritmica di Larry Grenadier e Jeff Ballard. Quindi mr Metheny ha preso il sopravvento compositivo? «Dopo il primo incontro abbiamo lavorato separatamente e ciascuno di noi ha portato 12 brani a testa: metà duetti e l’altra metà per quartetto. Quindi annuncio in anteprima che in febbraio uscirà un secondo album, stavolta tutto in quartetto, e subito dopo partiremo in tournée fino ad ottobre 2007». Nell’album Metheny privilegia la chitarra acustica e in un brano utilizza la «synt guitar». «Tutto è nato spontaneamente. Per creare il nostro sound ho suonato l’acustica con le corde di nylon. Ho lasciato da parte la synt guitar perché so che ai puristi del jazz come Brad non piacciono i marchingegni elettronici. Invece un giorno mi ha chiesto di usarla perché “quel suono lo fa impazzire”.

Il cd è una tappa fondamentale nella mia carriera, come i duetti con Charlie Haden e Jim Hall». Ma, così irrequieto, non sogna già qualche «incontro particolare». Mi piacerebbe fare qualcosa con Estella Morenté, figlia di Enrique, che considero il Miles Davis del flamenco. La sua voce mi ricorda Edith Piaf».

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