È il segreto, in fondo semplice, del suo successo. Qualcuno lo ha battezzato il «metodo Sarkozy» e probabilmente farà scuola, non solo in Francia. Richiede un leader di forte personalità, un'idea, un progetto. E tanta tenacia, quella che il trionfatore delle presidenziali ha maturato sormontando una sconfitta che per chiunque altro sarebbe stata letale. Era il 13 giugno 1999 e il partito gollista, guidato da Sarkò, precipitò alle elezioni europee al 12,8%, il peggior risultato di sempre.
Una giornata che Nicolas oggi considera benedetta, perché lo costrinse a riflettere, a interrogarsi sul malessere che già allora rodeva la società francese e che i politici non riuscivano a capire. Allora, a destra come a sinistra si pensava che la colpa fosse della gente, superficiale e incolta. E invece era di un'élite vecchia; vecchia nella personalità dei suoi leader (gli stessi da 30 anni) e soprattutto nel modo di gestire il Paese tutto rivolto al passato, come se il Muro di Berlino non fosse mai caduto, come se la Francia fosse ancora una potenza imperiale anziché una realtà multietnica. Sarkozy si rese conto che bisognava rompere con quel mondo e con i suoi mostri sacri, a cominciare, lui che è di destra, con De Gaulle. Rompere dunque, ma come?
Per due anni Sarkò sparì di scena. Ricomparve nel 2001 con un saggio, Libre («Libero»), che molti snobbarono e che invece divenne la sua bibbia e i cui principi oggi gli hanno consentito di conquistare l'Eliseo.
La personalità, dunque. Nicolas l'ha sempre avuta; dinamico e impetuoso, forse fin troppo. Doveva modularla e metterla al servizio di una causa giusta. In quei due anni di clausura maturò una nuova identità, vincente. Decise di ignorare le regole di un mondo politico ripiegato su se stesso. Al diavolo le cordate, gli accordi sottobanco, le lotte fratricide, indispensabili per far carriera. In democrazia bisogna parlare al popolo, che già allora non sopportava più le ambiguità dei leader dei partiti, né le loro ipocrisie. Sarkozy si accorse che la gente chiedeva franchezza, un programma realista e l'ambizione di proiettare il Paese verso il futuro. E pertanto che si affrontassero i problemi della sicurezza, dell'integrazione, di un'economia in declino. I francesi aspettavano impazientemente che qualcuno sviluppasse un progetto organico e che parlasse un linguaggio comprensibile. Quel qualcuno era Nicolas Sarkozy, pragmatico, dinamico, talmente disinvolto da travalicare all'occorrenza gli steccati destra-sinistra. Sarkò è un liberale, ma non è un liberista; è consapevole che la gente è pronta a fare sacrifici, ma non a stravolgere una società in cui lo Stato sociale fa parte del dna nazionale; allora impara a dosare le riforme. Capisce che la società multirazziale è una realtà, ma che non può risolversi nella creazione di periferie-ghetto e che deve indurre non a rinnegare l'identità ma a forgiarne un'altra, di sintesi tra tradizione e modernità. Si avvede che la gente, anche la più semplice, chiede di essere protetta dalla criminalità e non accetta il «buonismo» nei confronti dei delinquenti. Intuisce che è il lavoro la preoccupazione numero uno e che anziché deregolamentare i contratti, bisogna incentivare gli industriali e liberalizzare l'orario, togliendo tetti settimanali e sgravando gli straordinari di tasse e oneri sociali.
Nel 2005, dopo aver conquistato la presidenza dell'Ump, il nuovo partito unico del centrodestra, sa di poter puntare all'Eliseo. In apparenza ha tutto, anche una squadra di formidabili consiglieri; ma si accorge che qualcosa manca. E allora decide di rivolgersi a una società americana specializzata nella gestione d'impresa, la Boston Consulting Group, che individua e colma la lacuna: gli dà un metodo di lavoro. I suoi ragazzi erano sì brillanti ma non abituati a sviluppare una visione globale, né un criterio di applicazione dei progetti. I sondaggi diventano fondamentali e minuziosi: ogni settimana la società civile viene consultata in profondità per capire che cosa pensa, ma anche per verificare che il progetto politico corrisponda davvero alle esigenze popolari. Nulla è lasciato al caso: quando Sarkò usa espressioni gergali, definendo «feccia» i teppisti e annunciando di voler «ripulire le periferie con il Ddt», sa che questo è quel che si aspetta la maggior parte della gente.
Marcello Foa
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