Politica

Metropoli contro campagna A Parigi è guerra di stili

Daniela Fedi

da Parigi

Ieri sulle passerelle di Parigi sembrava che il topo di campagna e quello di città si sfidassero a duello. Ha vinto quest'ultimo grazie alla straordinaria collezione di Ennio Capasa per Costume National in cui l'ispirazione naturalistica dei ricami si mischiava con la modernissima rivisitazione dell'eleganza sartoriale italiana creata un tempo da Biki o dalle Sorelle Fontana oltre che con l'alta gioielleria firmata Bulgari e Van Cleef. Meno riuscita e in più funestata dall'allestimento (quintali di paglia e fieno sparsi dovunque) che ha letteralmente soffocato il pubblico, la sfilata di Jean Paul Gaultier voleva piuttosto ripercorrere usi e costumi campestri dalla Russia fino all'Europa centrale. Purtroppo una lettura troppo didascalica del folk non porta nulla all'estetica contemporanea neanche se a farla è un gran maestro come Gaultier. Invece Naoki Takizawa, quarantacinquenne designer giapponese che disegna le collezioni di Issey Miyake, ha fatto un piccolo capolavoro di equilibrio mescolando il millenario fascino della natura con quello sempre futuribile dell'elegante griffe. La quadratura del cerchio è arrivata da Vivienne Westwood che vuole usare la moda come forma di resistenza culturale e attiva contro ogni sopruso, ma alla base resta una regina del taglio e dell'assemblaggio sartoriale. Su questo Capasa ha davvero scritto un capitolo nuovo con i suoi modelli magicamente leggeri pur essendo pieni di drappeggi a tendina, costruzioni couture, doppi e tripli strati di stoffa. «Mi sono chiesto chi sono i miei veri genitori dal punto di vista professionale e tra le tante risposte ho trovato la tradizione della sartoria italiana al suo debutto negli anni Sessanta» ha detto lo stilista. «Vorrei portare quest'esperienza alle donne di oggi pressando ogni drappeggio e tamponando i colori forti con il nero per togliere qualsiasi sospetto di rétro» ha concluso applicando personalmente e con rara maestria gli spettacolari ricami a forma di uccelli, serpenti e pesci che nella loro compiuta bellezza sostituiscono i pesanti gioielli previsti dal copione di un abito da cocktail. Il bello è che la griffe pur non essendo sponsorizzata dai potenti soloni del fashion system americano, nel mese di settembre ha raddoppiato le vendite e registra un sonoro più 30 per cento nell'arco dell'anno con la sola linea C'N'C' dedicata al pubblico giovane. Dunque ci si chiede perché applaudire piuttosto stilisti come Nicholas Guesquiere di Balenciaga che è in effetti bravissimo, ma vende poco o forse nulla se veramente perde 30 milioni di euro l'anno come si dice con insistenza ai piedi delle passerelle parigine. Per altro circola anche la cifra di affari totalizzata da Marithè e François Girbaud: 250 milioni di Euro all'anno, un'enormità che si può spiegare solo con l'eccezionale lavoro sul jeans, mentre in termini di moda quel che s'è visto ieri non era nulla di speciale. Dispiace dire lo stesso per Gaultier che stavolta si è fatto prendere la mano da camicette magiare, grembiulini contadineschi, stampe riprese dagli alfabeti ricamati a piccolo punto, ruvide salopette e gonnellone annegate nei volants. Su questo genere di cose Antonio Marras ha scritto pagine ben più credibili per stile e autenticità. Che non mancava nella memorabile collezione Miyake dedicata a un'immaginaria foresta di bambù evocata dalla musica di Martin Denny, pianista e arrangiatore americano di stanza alle Hawaii negli anni Cinquanta dove pose la prima pietra per l'attuale genere musicale detto «chillout». In passerella c'erano perfino modelli fatti da strisce di un bambù di 200 anni e tante variazioni sul tema delle pieghe, dei fiori stampati, del pudore inteso come necessità. La Westwood preferisce la ribellione e parla di Ernesto «Che» Guevara, ma le basta prendere una gonna a ruota, metterle una striscia di tessuto sotto il sedere e trasformare una sahariana in mantellina per reinventare l'eleganza sublime di un tailleur firmato da Poiret. Viktor & Rolf hanno invece fatto una sfilata al contrario, gli stilisti prima delle modelle, i vestiti sottosopra e perfino il marchio al rovescio.

«È la nostra realtà» dicono gli stilisti con la stessa falsa innocenza di Alice nel paese delle meraviglie.

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