Carlo Sirtori
«Washington e Pechino lavoreranno insieme per far sì che il valore dello yuan sui mercati valutari sia più conforme alle regole della domanda e dellofferta». Pia speranza o reale convinzione? Non è facile interpretare le parole del presidente degli Stati Uniti George Bush sulla questione dei cambi, pronunciate al termine dellincontro con il collega cinese Hu Jintao.
Le economie di Cina e Usa viaggiano a braccetto da diversi anni: le casse del Celeste impero finanziano la crescita americana e permettono agli Stati Uniti un deficit impressionante, dovuto a imprese costose come la guerra in Irak. Gli Usa a loro volta contribuiscono in maniera determinante alla folle corsa delleconomia di Pechino, accettando di buon grado che i propri mercati siano inondati dai prodotti «made in China». Così, evitando di entrare in polemica con lalter ego commerciale del suo Paese, Bush ha scelto di vedere il bicchiere mezzo pieno, dando per acquisito limpegno (puramente verbale) di Pechino di fare qualcosa in più sulla sofferta questione dei cambi.
Lo scorso 21 luglio, quando la classe dirigente cinese decise di sganciare lo yuan dal dollaro, sembrava che la situazione, dal punto di vista di Washington, potesse migliorare. Ma le speranze dellamministrazione repubblicana, attanagliata da un deficit commerciale con la Cina che alla fine dellanno toccherà i 200 miliardi di dollari, furono deluse. Pechino decise di ancorare la propria moneta a un paniere di valute estere, vanificando di fatto la sua fluttuazione rispetto al dollaro: da allora il biglietto verde ha recuperato sullo yuan un misero 0,33%.
Se Bush è parso (o ha voluto apparire) ottimista, le parole del presidente cinese Hu Jintao dopo lincontro sono tutte da interpretare: «I contrasti e i problemi che potrebbero nascere sulle questioni commerciali nel futuro potranno essere risolti attraverso il dialogo».
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