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La Mezzogiorno salva il cinema italiano
Maurizio Cabona
da Venezia
Il Leone doro per Brokeback Mountain («La montagna che spezza la schiena») di Ang Lee consacra un bravo regista di Taiwan, che ora lavora a Hollywood, nella più estremorientale delle Mostre; impone laustraliano Heath Ledger e lo statunitense Jake Gyllenhall, avviandoli a diventare divi; ribadisce che, per un film, raccontare gayezza è mezza bellezza. Anche il premio speciale della giuria a Abel Ferrara, per lesile Mary, è uno e trino: onora un regista americano - ma antihollywoodiano - duna produzione italiana; un regista cattolico, ma dun film che irride La passione di Cristo, lhollywoodiano atipico Mel Gibson; onora un regista «maledetto», che ha fatto un film di unora e venti, perché aveva finito i soldi.
La coppa Volpi a David Strathairn e lOsella per la sceneggiatura a George Clooney & Grant Heslov per limpeccabile - dopo molti film settari sul maccarthismo - Good Night, and Good Luck, diretto dallo stesso Clooney, sono in fondo solo premi di consolazione per il film in bianco e nero che ha ottenuto i giudizi più lusinghieri del pubblico e della critica alla Mostra. Gli mancavano però i citati requisiti di Brokeback Mountain: la giuria non poteva evidentemente consacrare un divo come Clooney, ma ha tenuto a sottolineare che la sua versione dei fatti era onesta; la giuria poteva però consacrare un grande professionista dal nome difficile come Strathairn e lha fatto. Si noti che fra tutti i premiati, Strathairn era il più commosso e Clooney il più contento. Una lezione di stile, visto che potevano attendersi il Leone doro.
Occorreva naturalmente dare qualcosa in «quota intellettuali rétro». Ecco dunque il Leone dargento a un altro film in bianco e nero, Les amants réguliers di Philippe Garrel, esempio di premio alla persona giusta per il film sbagliato. Infatti alla Mostra Garrel aveva portato film più riusciti e film più brevi di questo (tre ore); come Ang Lee, però, dalla sua ha avuto il tema: per le generazioni egemoni, il maggio 68 è ciò che il novembre 18 era per le generazioni estinte.
Premio giusto alla persona giusta è quello «speciale per lopera complessiva» a Isabelle Huppert, alla Mostra con Gabrielle di Patrice Chéreau. È stata una trovata diplomatica reinventare un riconoscimento ad hoc come questo, desueto da ventanni, per la strabrava Huppert e così aprire la strada della coppa Volpi alla straspinta Giovanna Mezzogiorno per La bestia nel cuore di Cristina Comencini. Questultima invece è stata la boccata dossigeno che il cinema italiano invocava, anzi pretendeva, che le giurie di Mario Monicelli (2003) e John Boorman (2004) avevano avuto lonestà di negargli, perché non lo meritava. La giuria di Dante Ferretti, in questa Mostra migliore del solito, è stata più compassionevole. Del resto, lordine di salita sul palco ha detto la verità sulle preferenze della giuria: la Mezzogiorno è stata invitata prima, la Huppert dopo. E qui - come negli altri grandi festival - la gerarchia la fa il conto alla rovescia: chi più vale, più tardi sale.
Maurizio Cabona
da Venezia
Il Leone doro per Brokeback Mountain («La montagna che spezza la schiena») di Ang Lee consacra un bravo regista di Taiwan, che ora lavora a Hollywood, nella più estremorientale delle Mostre; impone laustraliano Heath Ledger e lo statunitense Jake Gyllenhall, avviandoli a diventare divi; ribadisce che, per un film, raccontare gayezza è mezza bellezza. Anche il premio speciale della giuria a Abel Ferrara, per lesile Mary, è uno e trino: onora un regista americano - ma antihollywoodiano - duna produzione italiana; un regista cattolico, ma dun film che irride La passione di Cristo, lhollywoodiano atipico Mel Gibson; onora un regista «maledetto», che ha fatto un film di unora e venti, perché aveva finito i soldi.
La coppa Volpi a David Strathairn e lOsella per la sceneggiatura a George Clooney & Grant Heslov per limpeccabile - dopo molti film settari sul maccarthismo - Good Night, and Good Luck, diretto dallo stesso Clooney, sono in fondo solo premi di consolazione per il film in bianco e nero che ha ottenuto i giudizi più lusinghieri del pubblico e della critica alla Mostra. Gli mancavano però i citati requisiti di Brokeback Mountain: la giuria non poteva evidentemente consacrare un divo come Clooney, ma ha tenuto a sottolineare che la sua versione dei fatti era onesta; la giuria poteva però consacrare un grande professionista dal nome difficile come Strathairn e lha fatto. Si noti che fra tutti i premiati, Strathairn era il più commosso e Clooney il più contento. Una lezione di stile, visto che potevano attendersi il Leone doro.
Occorreva naturalmente dare qualcosa in «quota intellettuali rétro». Ecco dunque il Leone dargento a un altro film in bianco e nero, Les amants réguliers di Philippe Garrel, esempio di premio alla persona giusta per il film sbagliato. Infatti alla Mostra Garrel aveva portato film più riusciti e film più brevi di questo (tre ore); come Ang Lee, però, dalla sua ha avuto il tema: per le generazioni egemoni, il maggio 68 è ciò che il novembre 18 era per le generazioni estinte.
Premio giusto alla persona giusta è quello «speciale per lopera complessiva» a Isabelle Huppert, alla Mostra con Gabrielle di Patrice Chéreau. È stata una trovata diplomatica reinventare un riconoscimento ad hoc come questo, desueto da ventanni, per la strabrava Huppert e così aprire la strada della coppa Volpi alla straspinta Giovanna Mezzogiorno per La bestia nel cuore di Cristina Comencini. Questultima invece è stata la boccata dossigeno che il cinema italiano invocava, anzi pretendeva, che le giurie di Mario Monicelli (2003) e John Boorman (2004) avevano avuto lonestà di negargli, perché non lo meritava. La giuria di Dante Ferretti, in questa Mostra migliore del solito, è stata più compassionevole. Del resto, lordine di salita sul palco ha detto la verità sulle preferenze della giuria: la Mezzogiorno è stata invitata prima, la Huppert dopo. E qui - come negli altri grandi festival - la gerarchia la fa il conto alla rovescia: chi più vale, più tardi sale.
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